
Cosa c'era su quel muro bianco che nel 2007 attrasse l'attenzione degli specialisti del Ris? Perchè solo in un punto, sulla parete delle scale che scendono verso la cantina della casa di Chiara Poggi, venne spruzzata la ninidrina, il reagente per evidenziare le impronte? É questa la domanda cruciale che avanzano ora i consulenti di Alberto Stasi per colmare quella che potrebbe essere l'ultima lacuna delle indagini sul delitto di Garlasco. «Se scopriamo che sull'impronta di Sempio c'era il sangue di Chiara Poggi - spiega al Giornale il consulente di Stasi, Pasquale Linarello - il caso è chiuso e andiamo tutti a casa».
«Nelle carte e nelle immagini che vengono diffuse in questi giorni - dice Linarello - l'impronta del palmo della mano appare vistosa. Ma quella è la scena che si presenta dopo che sulla parete è stato distribuito il reagente. Qual era la situazione prima? Evidentemente c'era qualcosa che ha attirato l'attenzione dell'operatore dei Ris. Per capire cosa fosse stiamo riesaminando tutte le 540 foto scattate prima che la ninidrina fosse spruzzata sulle pareti e una parte dell'impronta venisse raschiata».
Adesso si capisce cosa intendesse la Procura di Pavia nel passaggio del comunicato di tre giorni fa in cui si diceva che «l'ufficio sta procedendo a ulteriori investigazioni» sul raschiamento dell'impronta. Anche ai pm, oltre che alla difesa di Stasi, serve capire quale fosse la situazione precedente.
Certo, l'analisi del Ris dice che l'intonaco raschiato è risultato negativo all'Obti test per la ricerca di sangue. «Ma è la ninidrina - dice Linarello - che all'epoca rendeva irrintracciabile il sangue. Oggi gli strumenti consentono ricerche più accurate. Per questo chiediamo di sapere dov'è quell'intonaco oggi. Se esiste ancora, le risposte alle indagini possono essere lì dentro». A meno che anche l'intonaco della «impronta 33» sia finito in discarica, come accaduto in questi diciott'anni ad altri reperti dell'indagine su Garlasco.
Per giustificare la presenza della sua impronta sulla parete, Andrea Sempio nelle sue versioni sta progressivamente allargando la descrizione dei locali di casa Poggi che frequentava in quanto amico del fratello di Chiara, Marco. Nel corso delle indagini aveva parlato solo del salotto dove c'era il televisore e della stanza della ragazza, dove era piazzato il computer. Adesso, secondo il suo avvocato Angela Taccia, Sempio dice che «ha frequentato ogni angolo della casa, tranne la camera da letto dei genitori»: compreso il «seminterrato», come lo definiscono i pm. Ieri Marco Poggi conferma, «era il deposito dei giochi», e offre una spiegazione preziosa per l'amico Andrea: «scendevamo correndo e ci appoggiavamo ai muri». Ma se dall'intonaco spunta il sangue cambia tutto.
Un appoggio alla linea difensiva di Sempio arriva ieri dai tabulati telefonici, resi noti dal tg de La7, di sua madre Daniela. Il sospetto degli inquirenti è che a prelevare da un parcheggio di Vigevano nelle ore del delitto lo scontrino che costituisce l'alibi di Sempio fosse stata non lui ma la mamma. Dall'analisi delle celle telefoniche risulta però che la donna non aggancia mai la cella Tim di Vigevano, e i suoi contatti avvengono tutti nella zona tra Garlasco e Gambolò dove ha sempre sostenuto di trovarsi fino alle 11, quando torna a casa e passa l'auto al figlio.
Nel frattempo, uno degli avvocati difensori di Andrea Sempio lancia una terza pista: l'assassino potrebbe non essere nè Sempio nè Stasi ma un'altra persona, un killer assoldato.
Intervistato dal Corriere, Massimo Lovati dice: «Per me è stato un sicario». Possibile? Chiara che apre la porta a uno sconosciuto? Lovati è convinto della sua ipotesi, e ha anche una idea sul mandante: «Ma me la tengo».
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