"Il diktat di Di Maio su Berlusconi e Renzi? Soltanto personalismi"

Il politologo di sinistra: «È la fase due della campagna elettorale, incentrata sui leader»

"Il diktat di Di Maio su Berlusconi e Renzi? Soltanto personalismi"

«Di Maio dovrebbe dire: non mi piace Berlusconi per le sue idee politiche o per le sue proposte economiche, oppure non voglio Renzi per le leggi che il suo governo ha fatto sulla scuola o sul lavoro. Ma qui il veto è sulle persone, non sulle idee. In fondo è la prosecuzione della campagna elettorale, che è stata fortemente personalizzata. E, prima ancora, è una conseguenza della personalizzazione della politica di cui proprio Silvio Berlusconi è stato l'iniziatore nel '94, puntando tutta la campagna sulla sua persona, sui suoi successi personali e sulla sua capacità di cambiare il Paese», spiega Gianfranco Pasquino, storico docente di politologia all'Università di Bologna, un passato da senatore indipendente di sinistra.

Quindi professore, lei vuol dire che il Cavaliere un po' se l'è andata a cercare.

«Dico che anche lui ha attaccato duramente Di Maio e i candidati Cinque Stelle, irridendoli, e quindi credo che il veto di Di Maio su di lui sia una forma di reazione, anche legittima».

La condivide.

«Aspetti. Un conto è comprendere la logica dietro al veto Di Maio, un altro è condividerne gli attacchi personali, questo no. Va però tenuto conto che qui c'è anche una competizione per diventare capo del governo, per cui Di Maio deve far emergere la sua persona e schiacciare gli altri, anche se è da notare che tra Salvini e Di Maio non c'è questo gioco a distruggersi che invece c'è con Berlusconi. E poi, capisco anche l'estrema semplificazione sulle persone, perché di fatto siamo in una seconda fase della campagna elettorale che è stata tutta sulle persone, non sui programmi politici».

Una specialità italiana?

«Non direi, anche negli altri paesi le campagne elettorali sono fortemente personalizzate, tanto da rendere difficile poi mettere insieme i pezzi. Pensi solo a Donald Trump, che è stato durissimo contro Hillary Clinton. Alle personalizzazione si somma poi la distruzione delle organizzazioni politiche tradizionali. La politica si fa sulle persone, anche con i veti, perché non ci sono più i partiti».

Non esistevano veti nella Prima Repubblica?

«Premesso che non mi piace l'espressione, perché siamo ancora nell'unica Repubblica che abbiamo avuto, anche se scassata. Però anche nella prima Repubblica c'erano. C'era il veto sul Pci, la conventio ad excludendum del pentapartito per tenere fuori i comunisti da qualsiasi governo. E poi il veto sul Msi, perché non riconosceva la Costituzione italiana. Ma erano veti sulle ideologie, non sulle persone. Al posto dei veti sulle persone, c'era lo scambismo: io ti dò il sindaco di Roma e tu mi fai fare il premier, come fu il celebre scambio tra Andreotti e Craxi nel'89. Non è che fosse una bella politica neppure quella, però era la fase del pentapartito che dava un quadro generale da cui non si usciva».

E adesso in che fase siamo?

«In una fase di transizione disordinata. È stato distrutto il sistema partitico e non siamo mai stati capaci di ricostruirlo. Siamo appesi ad un sistema costituzionale che tiene solo perché il capo dello Stato ha poteri veri e li esercita. Al di là di quello, senza più i partiti, emergono solo delle personalità, ma diciamo dalla statura politica non eccelsa».

Come finisce la partita sul governo?

«Guardi, il vantaggio delle democrazie parlamentari è di essere molto flessibili. Penso che si faranno delle coalizioni non molto solide, ma in grado di far funzionare il nuovo sistema tripolare, anche se non benissimo. Ha presente il triciclo? Ecco, sul triciclo non si cade, ma neppure si va veloce. Non siamo in grado di darci una bicicletta, un sistema bipolare, e dovremo accontentarci di un triciclo».

E chi lo guiderà il triciclo, Di Maio o Salvini?

«Con grande titubanza rispondo che a mio avviso sarà un terzo uomo, né di Maio né Salvini, a fare il premier. Qualcuno che può venire dalle file del M5s o della Lega oppure un terzo che non ci sta neppure pensando. Ma deve essere un politico. Non Renzo Piano, Cottarelli o Draghi.

Un politico che conosce l'arte del compromesso, la capacità di mettere insieme situazioni delicate. E che in questa partita si gioca anche la carriera, il suo futuro politico, cosa che certo non succede se hai già un lavoro di prestigio al Fmi o in una grande banca».

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