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Le spese di Lady Soumahoro: "I soldi dei migranti per le borse firmate"

Chiuse le indagini sulla moglie e la suocera del deputato. Contestato anche lo shopping in negozi di lusso

Il diritto alla moda dei Soumahoro: i soldi dei migranti spesi da Ferragamo

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Il diritto alla moda dei Soumahoro: i soldi dei migranti spesi da Ferragamo

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L'inchiesta è finita e la soap-opera «Soumahoro and family» si è conclusa nel peggiore dei modi per loro. La Procura di Latina, dopo aver chiuso le indagini, ha inviato gli avvisi di garanzia a tutti i membri della famiglia della compagna dell'onorevole con gli stivali. Liliene Murekatete, il fratello Michel Rukundo, la madre Marie Therese Mukamitsindo e l'altro figlio - anche lui fondatore della Karibù - Richard Mutangana. A ricevere l'avviso anche i due legali rappresentanti di quelle società satellite alla Karibu. Non si è salvato nessuno, tranne il deputato che non ha più proferito parola sulla vicenda. Aboubakar Soumahoro ha sempre peccato di superficialità per quanto riguarda le spiegazioni di ciò che succedeva tra le mura della sua casa, anche quando la compagna Liliene era stata bollata dal Tribunale del Riesame come «consapevole e attiva nella partecipazione del meccanismo fraudolento».

Ed è proprio il Tribunale del Riesame che sembrerebbe darci spiegazione a quello che Soumahoro ha definito «diritto all'eleganza» quando ha cercato di giustificare la compagna accusata - a quel tempo solo mediaticamente - di sfoggiare abiti e borse di lusso dopo lo scoppio dello scandalo. Questo perché nei documenti agli atti, di cui Il Giornale è in possesso, emerge che i fondi destinati alla Karibu, e che sarebbero dovuti servire per la gestione dei migranti e per l'accoglienza - battaglie che sono valse la conquista della poltrona da deputato - venivano usati in realtà per fare acquisti nel negozio romano di alto lusso Salvatore Ferragamo, e non solo.

«La condotta in contestazione, oltre ad essere indicativa di una certa spregiudicatezza, si inserisce in un sistema connotato da rilevanti opacità nella gestione degli ingenti fondi assegnati alla cooperativa sociale e agli altri enti coinvolti, fondi in parte rendiconti, in parte utilizzati per altri scopi apparentemente estranei allo scopo sociale (acquisto di beni presso negozi di abbigliamento di lusso, tra cui Ferragamo a Roma)». Così è scritto, nero su bianco, nelle motivazioni del Tribunale del Riesame che ha rigettato le richieste di revoca dell'interdizione. In pratica, i furbetti dell'accoglienza per due volte in questi ultimi due mesi, dopo aver fatto shopping sfrenato in via Condotti, hanno addirittura fatto ricorso per annullare l'impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare imprese e uffici direttivi di persone giuridiche, imposta invece per la durata di 1 anno. Ricorso però rigettato e che ha previsto anche il sequestro - disposto dalla Procura di Latina - per oltre 650mila euro: poco meno di 640 mila nei confronti dell' imprenditrice Mukamitsindo, premiata qualche anno fa da Laura Boldrini, e il rimanente diviso tra i figli, compresa Lady Soumahoro.

Insomma, oltre il danno la beffa e il regno dell'accoglienza per eccellenza targato Karibu ed Aid è crollato una volta per tutti. Soldi, tanti - tra finanziamenti, bandi, contributi - ottenuti per dare una nuova vita a chi arriva in Italia senza niente ma che in realtà venivano usati in modi tutt'altro che coerenti con le linee di indirizzo delle cooperative, tra cui - appunto - comprare vestiti alla moda in negozi costosissimi. A cornice di tutta questa ipocrisia non poteva mancare uno degli ultimi interventi di Soumahoro che, ancora, si prodiga a parlare di migranti: «La proposta riguarda il tema dei processi migratori», ha affermato l'onorevole in aula qualche giorno fa. «È una situazione strutturale e vuol dire che occorre ragionare su una prospettiva di progetto europeo, un piano europeo sul tema dei processi migratori».

Per poi concludere così, tra i fischi degli altri parlamentari: «Nel rispetto della dignità, nel rispetto dei diritti e dell'uguaglianza». Quell'uguaglianza con i migranti che vivevano come topi, senza acqua e cibo, nelle coop gestite dalla sua famiglia? Quel rispetto nei confronti dei dipendenti della Karibu che non venivano pagati proprio sotto gli occhi - distratti, come lui afferma - dell'Onorevole? Quella dignità di avvalersi del «diritto all'eleganza» sulla pelle degli ultimi?

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