"Diritto a morte degna" Così la Cassazione spalanca la cella a Riina

Per la suprema corte va garantita al «capo dei capi» la pietà che fu negata a Provenzano

Totò Riina nella fotografia diffusa da Quarto Grado
Totò Riina nella fotografia diffusa da Quarto Grado

C'è un diritto a morire con dignità. Anche se si porta addosso un nome, Totò Riina, che è un trattato di storia criminale. Il capo di Cosa nostra, lo stragista feroce, il collezionista di ergastoli, il mandante di una serie interminabile di delitti merita quel briciolo di umanità che ha sempre negato agli altri. È la Cassazione, con un provvedimento certamente impopolare e che fa discutere, ad affermare il principio: la pietà non si nega a nessuno. Nemmeno al capo dei famigerati Corleonesi. Per questo la Suprema corte sconfessa il tribunale del riesame di Bologna che aveva stabilito la perfetta compatibilità fra le condizioni di salute di Riina e la sua detenzione in carcere a Parma.

No, non è cosi: il vecchio boss in galera non ci può più stare. Anche se nessuno mette in discussione il suo straordinario spessore criminale. Ma il curriculum da pericolo pubblico numero uno non basta per far buttare via la chiave della cella in cui è rinchiuso dal 1993, quando fu catturato a Palermo dopo una lunghissima latitanza.

Oggi l'uomo che ha portato la guerra allo Stato al livello più alto ha 86 anni ed è gravemente malato. Anzi. Il quadro clinico è disastroso: «Una duplice neoplasia renale, una situazione neurologica gravemente compromessa e una grave cardiopatia». La belva, come era chiamato il padrino, non riesce nemmeno a stare seduto. E allora la Cassazione imbocca un sentiero che va verso l'attenuazione delle misure cautelari. Due le alternative proposte ai giudici di Bologna che dovranno nuovamente occuparsi dello spinosissimo dossier: la detenzione domiciliare o, addirittura, il differimento della pena. Ovvero, la piena libertà per affrontare senza ulteriori umiliazioni e restrizioni gli ultimi giorni.

«Esiste -spiega la cassazione- un diritto a morire dignitosamente». L' asticella della sofferenza non può essere collocata troppo in alto: si deve valutare se «se lo stato di detenzione carceraria comporti un tale grado di afflizione» da andare oltre la «legittima esecuzione della pena». Questo riguardo non può essere negato nemmeno alla figura che nell' immaginario collettivo incarna il Male con la M maiuscola. Omicidi, stragi, bombe, lupare bianche, corpi sciolti nell' acido, lo sfregio al nostro patrimonio artistico, una serie incredibile e interminabile di azioni criminali. I magistrati di Bologna avevano chiuso a doppia mandata la cella del boss, la cassazione ordina di riaprirla, mettendo in discussione persino la pericolosità dell'ergastolano forse più. Famoso d'Italia. Di solito, quando hanno a che fare con i mafiosi, i giudici non concedono nulla perché ritengono che un capo sia sempre inserito nell'organigramma dell'organizzazione e nel circuito criminale. Ma la Suprema corte non accetta teoremi: non si capisce come «tale pericolosità possa e debba considerarsi attuale in considerazione della sopravvenuta precarietà delle condizioni di salute e del più generale stato di decadimento fisico».

Sulla strada di Riina c'è un precedente molto ingombrante: a luglio scorso Bernardo Provenzano è morto all'ospedale San Paolo di Milano in stato di detenzione. Di più: al carcere duro, perché al vecchio boss, ritenuto più politico e raffinato rispetto al sanguinario Riina, non era stato nemmeno revocato il severissimo trattamento conosciuto con il nome di 41 bis. E questo nonostante forse ormai un fantasma, ridotto allo stato vegetativo, solo l'ombra del leader potente e temuto. Gran parte dell'opinione pubblica aveva approvato questa rigidità, ma si erano alzate anche voci critiche.

Come quella di Antonio Di Pietro che aveva parlato di un «gesto di debolezza e non di coraggio da parte dello Stato».

Per Riina si prospetta un finale di partita diverso. Vince la linea soft, ma forse, se si osserva il caso con il dovuto distacco, la mano dello Stato si mostra ancora più forte.

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