
"Se Israele e Hamas accetteranno l'accordo, la guerra finirà immediatamente". Il primo ostacolo all'intesa storica su Gaza sta qui, nonostante l'ottimismo di Donald Trump. Come reagirà Hamas a un piano di pace che obbliga l'organizzazione terroristica a disarmare? Il gruppo si è sempre rifiutato di accettare l'abbandono delle armi e ha ribadito anche ieri che non intende cambiare rotta, come ha già detto di rifiutare qualsiasi tutela straniera su Gaza e la presenza di Tony Blair nel futuro organismo di transizione. Come reagirà inoltre Hamas all'impegno di restituire tutti - e non solo una parte - degli ostaggi, l'arma umana che i terroristi detengono come un trofeo con il quale da due anni alzano la posta della trattativa? E ancora: metterà Hamas la sua firma a un piano che la esclude da qualsiasi ruolo nel futuro politico della Striscia? E semmai Hamas accetterà, davvero manterrà le promesse? Il gruppo terroristico per rinfrescare la memoria a tutti noi a febbraio ha spacciato i resti di una donna palestinese per quelli di Shiri Bibas, la mamma uccisa durante la prigionia insieme ai suoi figli, Ariel e Kfir, di 9 mesi e 4 anni. Quello che ha regnato a Gaza per quasi vent'anni è un movimento che non si fa scrupoli e non se n'è fatti né il 7 ottobre, quando ha massacrato 1200 israeliani, né in questi due anni di guerra, durante i quali ha lasciato che i civili palestinesi venissero massacrati, mentre i propri vertici si nascondevano all'estero o nei tunnel sotterranei in cui i palestinesi facevano da scudi umani.
Molti nodi sono stati sciolti fra Usa e Israele nelle scorse ore, anche grazie all'urgenza di Trump di voler chiudere il conflitto di fronte al sangue versato a Gaza e allo sconcerto della comunità e dell'opinione pubblica internazionale. Ma altri nodi devono essere ancora dipanati. Anche Benjamin Netanyahu dovrà affrontare la sua battaglia interna, semmai l'intesa verrà davvero conclusa. L'accordo - è già chiaro - non piace affatto alla destra ultrareligiosa che ha tenuto finora in piedi il suo governo e punta alla vittoria piena, all'occupazione della Striscia. Non è un caso che mentre il premier "Bibi" si scusava con il Qatar per l'attacco a Doha contro i vertici di Hamas, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir si affrettava a sottolineare che quel raid è stato "importante, giusto e supremamente morale". I partiti di centro e centrosinistra hanno già offerto a Netanyahu un salvagente, pur di riportare a casa gli ostaggi e chiudere il conflitto. Ma il percorso potrebbe essere tortuoso e non immune da rischi e scivoloni, in un Paese - Israele - lacerato al suo interno da questo conflitto. L'amnistia promessa ai vertici di Hamas nasconde, tra l'altro, il rischio altissimo che la regia del terrore si sposti altrove, ma mantenga i soliti vecchi obiettivi.
C'è infine il grande scoglio della futura leadership palestinese. Netanyahu continua a non vedere alcun ruolo per l'Anp a Gaza senza un cambiamento "radicale" che includa, tra l'altro, "il riconoscimento dello Stato ebraico".
Trump e la comunità internazionale non vedono invece altra strada, seppur condizionata a una svolta interna all'Anp, all'interno della quale non si tengono elezioni da vent'anni. Semmai una pace ci sarà - e tutti ce lo auguriamo - perché sia "permanente e duratura" la strada sarà lunga.