Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione associazioni di volontariato in oncologia Favo, la ricerca contro il cancro fa passi da gigante. Ma non si può dire altrettanto per le cure, sempre più difficili da avviare. Mai come ora si è sentita la differenza tra malati ricchi e poveri.
«C'è un serio problema di disparità di accesso alle cure, non più solo in base alla regione in cui si abita ma anche in base alle disponibilità economiche di chi si ammala. Di fatto ci sono contemporaneamente tre tipologie di sanità: una pubblica in crisi, una privata, e una che protegge il lavoratore dalla malattia attraverso piani assicurativi o strumenti collegati al contratto di lavoro».
Quanto costa curarsi?
«Abbiamo fatto un sondaggio: ogni anno un malato spende 700 euro per i trasferimenti in centri della propria regioni o in ospedali di altre regioni. E 400 euro per indagini diagnostiche. Quando il medico avanza un sospetto, loro non possono aspettare i tempi delle liste d'attesa degli ospedali pubblici, rischierebbero di aggravarsi. Quando possono, sono costretti a ricorrere al privato e sostengono le spese diagnostiche di tasca propria».
Il sistema sanitario nazionale è vicino a un punto di non ritorno?
«Credo stia per toccarlo. La crisi strutturale del servizio può essere misurata con il livello di diseguaglianza raggiunto. Poche settimane fa, 14 scienziati, tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi, hanno firmato un appello per salvare il sistema sanitario. Non posso che condividere: serve un finanziamento adeguato all'attuale domanda di salute e in linea con quanto ci chiede l'Europa. Il cancro determina un fabbisogno di assistenza diretto e indiretto, complesso e multidisciplinare, che si proietta addirittura dopo la guarigione clinica, tanto che le disuguaglianze per i malati di tumore sono ancor più marcate».
Il 40% dei malati guarisce. Ma i problemi non finiscono.
«No, serve la riabilitazione oncologica. Non solo fisica ma anche psicologica, sessuale, nutrizionale, cognitiva. Occorre far capire ai pazienti guariti l'importanza dello screening perché il cancro non si ripresenti. Come federazione stiamo lavorando sulla riabilitazione post tumore dal 2004, cioè da quando siamo nati. Ma non siamo ancora riusciti a inserirla nei Lea, i livelli essenziali di assistenza».
La legge sul diritto all'oblio oncologico funziona?
«La legge entrerà pienamente in vigore a luglio con l'emanazione di alcuni decreti che riguarderanno il rilascio di un certificato di guarigione. Combatterà le discriminazioni e agevolerà il reinserimento sociale e lavorativo».
Perché Favo sostiene che i fondi del piano oncologico sono inadeguati?
«Sono 50 milioni in 5 anni. Non bastano. Eppure dobbiamo capire che investire di più nello screening fa risparmiare il sistema sanitario sulle terapie».
L'attesa, i tempi lunghi sono inaccettabili.
«Uno studio, condotto il 35 unità di oncologia, ha misurato il tempo dedicato alle procedure mediche e alle attività amministrative. Per ogni ora trascorsa direttamente con i pazienti, circa due ore aggiuntive sono dedicate a compiti amministrativi e informatici. Bisogna ridurre al minimo gli oneri burocratici sugli operatori sanitari».
E aumentare il
personale?«Si, questo discorso vale non solo per l'oncologia ma per molti settori chiave del servizio sanitario. Il pubblico deve migliorare le condizioni di lavoro dei medici, le prospettive di carriera, gli investimenti».
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