Dj Fabo, l'eutanasia divide ancora l'Italia

Il 39enne da ieri in una clinica svizzera del fine vita. Beppino Englaro: "Stato in ritardo"

Dj Fabo, l'eutanasia divide ancora l'Italia

Sull'eutanasia del 39enne Fabiano Antoniano (alias «dj Fabo») l'Italia torna a spaccarsi. Come per in caso Englaro. Beppino, il padre di Eluana, la ragazza che rimase in stato vegetale per quasi 17 anni prima che i giudici le riconoscessero il diritto di rifiutare le cure, non è mai sceso dalla barricata e oggi rilancia: «La battaglia portata avanti per mia figlia Eluana non è stata per l'eutanasia, ma per il diritto all'autodeterminazione anche per chi non è più in grado di esprimere la propria volontà. Lo Stato italiano è in ritardo». Dolore rispettabile. Sfogo comprensibile, quello di Beppino Englaro. Eppure resta un senso di amarezza per altre voci che suonano come una sorta di ricatto morale nei confronti di Fabiano. Ci vorrebbe forse un'eutanasia anche per le parole inutili. Invece su Fabo e il suo desiderio di farla finita, nessuno stacca la spina alle chiacchiere. Al bla bla che, con la scusa del dibattito «alto», rischia di inquinarsi con «basse» strumentalizzazioni politiche. Fatte in buonafede. Almeno si spera. Ma resta difficile liberarsi da quella strana sensazione che si prova ascoltando i proclami dell'associazione «Luca Coscioni»: «Fabiano Antoniani è ora in una clinica svizzera specializzata nella dolce morte e si sta sottoponendo alle visite mediche previste dai protocolli. Tuttavia potrebbe ancora cambiare idea». E proprio per questa ragione sarebbe meglio se tutti lasciassimo Fabo tranquillo, libero appunto di «cambiare idea», di ripensarci, possibilmente senza pressioni esterne, comprese quelle di chi gli sta ora accanto e gli vuole un gran bene. Ma i suoi amici radicali preferiscono invece entrare a gamba tesa: «È veramente una vergogna che nessuno dei parlamentari abbia il coraggio di mettere la faccia per una legge che è dedicata alle persone che soffrono, e non possono morire a casa propria, e che devono andare negli altri Paesi per godere di una legge che potrebbe esserci anche in Italia. Schiavi di uno Stato che ci costringe ad andare all'estero per liberarci da una tortura insopportabile e infinita». Fabo ieri ha incontrando i medici e gli psicologi chiamati a valutare se la sua richiesta di eutanasia sia accettabile. Lui, cieco e tetraplegico, desidera porre fine a una vita che non ha scelto, «immobilizzato in una lunga notte senza fine» in seguito a un incidente stradale. Dopo anni di terapie senza esito, ha chiesto che le istituzioni intervengano per regolamentare l'eutanasia e permettere a ciascun individuo di essere libero di scegliere fino alla fine. Ma la vita e la morte possono diventare terreno di battaglia per il wrestling politico? Purtroppo pare di sì. E quel ring appare di una tristezza infinita. L'attacco dell'associazione ne è la conferma: «C'è da augurarsi che i parlamentari che hanno lavorato seriamente sul testo di legge riescano a imporre alla conferenza dei capigruppo di mercoledì 1 marzo una decisione di contingentamento dei tempi per salvare la possibilità di una legge prima delle fine della legislatura».

Intanto Matteo Nassigh, 19 anni, disabile gravissimo dalla nascita, ha dedicato un appello a Fabo dalle pagine di Avvenire: «Non chiedere di morire, noi non possiamo correre ma siamo pensiero, e il pensiero migliora il mondo». Parole belle. Di buon senso. Che meriterebbero riflessioni di pace. Non proclami di guerra.

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