Domenica si va a votare per le province abolite

Altro che rottamazione, sindaci e consiglieri alle urne per creare le assemblee. Ad agosto seggi aperti in 5 enti

È uno dei simboli della rottamazione costituzionale propagandata da Matteo Renzi, uno dei mantra propagandistici recitati dal Pd, uno dei teorici fiori all'occhiello della stagione delle riforme. L'abolizione delle province viene sbandierata ormai da due anni come esempio concreto della politica di semplificazione e risparmio portata avanti dal governo. Peccato che le province continuino a vivere e a operare ripresentandosi, magari sotto mentite spoglie o con un semplice aggiornamento onomastico, su tutto il territorio italiano.

La cartina di tornasole più immediata è quella elettorale. A partire da questo mese di agosto fino al gennaio del prossimo anno, come in una giostra permanente, si andrà al voto praticamente ogni settimana per rinnovare la composizione di moltissime province, sia pure nella formula dell'elezione di secondo livello: sostanzialmente la stessa senza suffragio diretto che ci attende se vincerà il sì al referendum per il Senato, la cui composizione non sarà più decisa dai cittadini, ma direttamente dalla classe politica.

Soltanto tra agosto e settembre sette province importanti andranno al voto: il 3 agosto si è votato a Ravenna; il 28 agosto è la volta di Macerata e Pavia; il 30 agosto Mantova; il 31 Campobasso; l'11 settembre Vercelli; il 18 Treviso. Ce ne sono, però, tantissime altre che devono decidere il loro destino in un quadro normativo disomogeneo e disorganizzato, in un vero proprio festival di interpretazioni e buchi legislativi.

I paradossi non mancano. Ci sono province il cui presidente è decaduto o dimissionario e sono rette da più di 18 mesi da un vicepresidente; altre nelle quali il consiglio provinciale ha cessato la sua attività mentre presidente e giunta sono rimasti in carica, senza indennità, per ulteriori tre mesi. E poi c'è il caso delle Province della Sicilia che voteranno per la prima volta con il nuovo sistema l'11 settembre, ma se lo statuto lo dovesse prevedere, potrebbero tornare all'elezione diretta. La ricerca di una nuova identità per queste «semi-Province» è testimoniata anche dalle difficoltà nel trovare loro un nome. In Lombardia potrebbero essere ribattezzate cantoni, in Piemonte quadranti funzionali, in Sicilia liberi consorzi, in Friuli unioni territoriali intercomunali. Ma si parla anche di circoscrizioni, autonomie locali, micro-contee e chi più ne ha, più ne metta.

Il capitolo risparmi non sembra particolarmente significativo. Secondo l'Unione delle Province d'Italia a fronte di un costo di circa 2 miliardi per il riordino, il risparmio ottenuto sarebbe di 32 milioni di euro per le indennità degli amministratori, e di 78 milioni di spese per far funzionare la macchina provinciale. Ma il grosso delle risorse, circa 10 miliardi resteranno a carico della collettività perché destinate ai servizi essenziali. Di tutt'altro parere Graziano Delrio, padre della legge, che prevede risparmi per almeno un miliardo l'anno. Di certo l'abolizione fantasma delle province diventerà tema di dibattito anche in vista del referendum. «Ho inserito il caso province nel manuale per il no» spiega Alessandro Cattaneo, responsabile formazione di Forza Italia «perché è la migliore prova provata di quanto le riforme renziane non siano solo finte ma anche dannose.

Se ne sono accorti già sindaci e consiglieri comunali, ora iniziano ad accorgersene anche i cittadini che quando apprendono delle elezioni si chiedono in coro: ma le Province non erano state abolite? Insomma un conto è fare riforme vere, un conto è fare disastri sulle spalle dei cittadini».

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