
Domani è un giorno decisivo nella vicenda iniziata con la strage del 7 di ottobre cui è seguita la guerra che compie due anni. Netanyahu per la quarta volta, un numero senza pari, incontra Donald Trump; il presidente americano ha colorato l'evento con tinte drammatiche. È la sua strategia della pace mondiale a giocarsi su Gaza. Trump ha ripetuto che è forse il più decisivo fronte su cui si deve placare il fuoco. È una sfida che riguarda la linea di demarcazione fra Islam e Occidente. "Rispetto" sembra la parola d'ordine che domina i 21 punti siglati Witkoff e Blair: ne hanno parlato con Netanyahu stesso e con Ron Dermer, oltre che con i rappresentanti di Paesi Arabi moderati. Netanyahu ha prospettato all'Onu accordi con la Siria e il Libano, simpatia con l'Indonesia, accordi di Abramo. Un terreno serio di "rispetto" appunto: vuol dire rinunciare a giochi ricattatori, sparando la parola "genocidio" per imporre un cessate il fuoco. Nella proposta di pace americana non si sottovaluta il pericolo che uno Stato palestinese comporterebbe per Israele, l'apertura strategica considera il rischio che si trasformi in "uno Stato terrorista dentro i confini di Israele" come ha detto Netanyahu. C'è però "rispetto" anche verso i palestinesi, se sapranno rinunciare al terrorismo e all'odio che caratterizza Hamas e per la prima volta si programma che restino a Gaza.
Ma ora primo punto sono gli ostaggi, ed è anche il più difficile: Netanyahu li ha chiamati uno a uno a uno per nome, dentro Gaza gli altoparlanti gridavano la sua promessa. La restituzione di tutti, vivi e morti, costruisce il terreno della fine della guerra richiesta da Trump. Non si tratta, come l'Ue cerca di fare, di ricattare Israele insultandolo, ma di accompagnarlo sul terreno del rischio della vita, nella guerra contro il terrore. Battere il rischio mortale che Hamas rappresenta per Israele è la strada verso la fine della guerra. Witkoff dice che ci siamo: si coinvolgono i mediatori, il Qatar, l'Egitto, certo invitati a abbandonare le ambiguità e a spingere, forse a minacciare Hamas. Erdogan è coinvolto nel giuoco per nemico di Israele che sia. L'Arabia Saudita, con gli Emirati ha il compito di disegnare il riconoscimento negato, per cui la guerra di religione ha dichiarato Israele colpevole di esistere. Hamas deve lasciare il potere, dare garanzie di fuga consentita o di conversione culturale: difficili da credere, e anche la "deradicalizzazione" non può certo avvenire in un giorno. Israele deve, per accettare questo patto, fare uno sforzo funambolico, affidarsi all'alleanza americana. Ormai è difficile, dopo che l'Europa, preda dell'antisemitismo, che ha abbracciato Abu Mazen che non tiene elezioni da vent'anni e paga il "pay for slay", immaginarla come garanti. Il patto prevede che non sarà richiesto esodo da Gaza, che un gruppo internazionale garantisca la ricostruzione e anche la fine del potere di Hamas. Israele garantirà la propria sicurezza, mentre è chiaro che se il patto passa, Netanyahu dovrà addossarsi la crisi proveniente da destra. "Serial killer" torneranno dalle prigioni a Gaza e a Ramallah, chi ha giurato sui libri sacri di uccidere gli ebrei dovrà essere creduto quando promette la pace.
Netanyahu nel suo discorso non ha parlato di "annessione", ha invocato la pace ricordando però come Israele ha saputo battere i nemici persino dopo il trauma del 7 ottobre. Siamo su un filo di seta, la Casa Bianca lo tesse oggi.