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Donbass, colpi di mortaio contro il ministro. La gaffe sui video dei due leader filo-russi

Il conflitto fa le prime vittime, sono due soldati dell'esercito ucraino. Erano pre-registrate le denunce dei due comandanti dei ribelli

Donbass, colpi di mortaio contro il ministro. La gaffe sui video dei due leader filo-russi

Se non fosse una tragedia (e lo è, assolutamente) quella che sta cominciando a consumarsi nel Donbass sarebbe una farsa. La collaudata tradizione russa di diffondere disinformazione per giustificare azioni militari altrimenti ingiustificabili ha raggiunto ieri livelli straordinari, ma al tempo stesso è inciampata in una figuraccia quasi senza precedenti. È successo infatti che i due video con cui i leader delle amministrazioni russe di occupazione nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e di Lugansk ordinavano la mobilitazione generale e l'evacuazione di centinaia di migliaia di civili per sfuggire a presunte aggressioni delle forze armate ucraine erano stati registrati con due giorni d'anticipo.

È stato un errore grossolano a consentire di scoprire l'altrettanto grossolano inganno: Denis Pushilin e Leonid Pesachnyk hanno postato su Telegram i loro accorati messaggi nei quali si rivolgevano ai loro concittadini (chiamandoli «compagni» e «amici») denunciando presunte «concentrazioni di personale e attrezzature pesanti lungo la linea di contatto» e dicendo «Oggi, 18 febbraio». Peccato che nessuno li avesse informati che Telegram registra date e orari, e che da queste registrazioni sia così emerso che i video erano stati pre-registrati ben due giorni prima, mercoledì 16. Ciò significa che la drammatica escalation a cui stiamo assistendo in queste ore era stata pianificata in anticipo dai russi, e che chi li accusa di essere alla ricerca di pretesti per attaccare l'Ucraina ha fondate ragioni.

Nel suo video pre-registrato mercoledì scorso, Pushilin annuncia dunque la mobilitazione per «oggi 18 febbraio» e si appella con toni drammatici «a chi sa tenere un'arma», proibendo ufficialmente agli uomini tra i 18 e i 55 anni di lasciare la «repubblica» secessionista. Sempre il 18 febbraio treni e autobus cominciano a trasferire oltre il confine russo, nella regione di Rostov sul Don, migliaia di civili ai quali è stato fatto credere che gli ucraini stiano per avviare un'aggressione militare su larga scala per riconquistare i territori perduti nel 2014. E il presidente russo Vladimir Putin dà sollecito ordine affinché vengano allestiti ricoveri per i compatrioti minacciati, dichiarando che «la situazione sta peggiorando».

Quest'ultima affermazione è, di fatto, l'unica vera. Il piano russo per la costruzione di un casus belli che giustifichi un attacco che il Cremlino continua a ribadire di non volere è infatti ormai in pieno svolgimento. Scoppiano autobombe a Donetsk, cadono «missili ucraini oltre un chilometro al di là del confine», vengono compiuti misteriosi sabotaggi ai danni di un gasdotto a Lugansk. Non bastasse, l'agenzia ufficiale russa Tass s'incarica di denunciare meticolosamente una lista di ben 31 violazioni in 24 ore del regime di cessate il fuoco all'interno della «repubblica di Lugansk»: responsabili ne sarebbero naturalmente gli ucraini, in preda si suppone a una smania demente di provocare continuamente un nemico strapotente che ha schierato oltre 150mila uomini in assetto di guerra ai suoi confini.

Di fatto, almeno nel Donbass la guerra è già cominciata. Ne sono purtroppo protagonisti, oltre alle decine di migliaia di «profughi» russi già arrivati a Rostov, militari di entrambi gli schieramenti. Nel caos generato da accuse incrociate di attacchi e bombardamenti veri e presunti ai due lati del fronte, già si contano nuove vittime di un conflitto che in questi otto anni, in realtà, non si è mai fermato, trasformando la zona di confine nell'Ucraina orientale nel terreno in cui si combatte in mezzo a civili inermi una «guerra a bassa intensità» (14mila morti a oggi).

L'esercito ucraino denuncia due suoi caduti, e colpi di mortaio sono stati esplosi presso Novo Lugansk nella zona del fronte dove si trovava in visita il ministro ucraino dell'Interno Denys Monastyrsky: un avvertimento fin troppo chiaro ai vertici politici di Kiev.

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