
Nella settimana campale per Elly Schlein, tra referendum e mobilitazione per Gaza, i due appuntamenti rischiano di diventare un tornante scivoloso per la leader. Una doppia trappola, più che un'opportunità per consolidare una leadership sempre nel mirino del fuoco amico. E, così, la minoranza interna aspetta Schlein al varco. I riformisti non dicono di sperarci, ma ammettono che un flop di partecipazione al voto di domenica e lunedì e i possibili eccessi pro-Pal della piazza di sabato, innescherebbero inevitabilmente quella «famosa riflessione interna», messa per il momento in stand by. Insomma, più che il trionfo della sinistra dem, il duplice appuntamento potrebbe dare fiato alle trombe di chi da mesi chiede un congresso anticipato. I liberal dem, quindi, guardano ai due dossier. Già pronta la lotteria del toto-leader in grado di essere «federatore» del centrosinistra. Altro che il toto-ministri di cui si vociferava dopo la vittoria di Genova, con Schlein che si diceva pronta alle urne anticipare per le elezioni politiche. Il quadro potrebbe mutare nel giro di tre giorni. Occhi puntati, dunque, sul referendum. Mentre Schlein attacca Meloni per la sua scelta di non ritirare la scheda, e parla di «silenzio complice» dell'esecutivo su Gaza, nel Pd si ragiona sulle possibili implicazioni interne della tornata. «Se non ci sarà partecipazione non potremmo prendercela solo con la maggioranza che ha invitato all'astensione», è il refrain che si inizia a sentire dalle parti della minoranza. Tradotto: un flop farebbe ripartire la fronda. Infatti, al netto dei proclami sul raggiungimento del quorum, il vero obiettivo di Schlein è di portare a votare almeno 12 milioni di persone. Così da poter rivendicare internamente la bontà della scelta dei Cinque sì, compreso l'appoggio a quelli sul lavoro, voluti dalla Cgil di Maurizio Landini. In caso contrario, un tonfo, rimescolerebbe le carte. E, insieme alla richiesta di un congresso anticipato, tornerebbe di attualità il dibattito su un centro da agganciare allo schieramento progressista. Obiettivo? Bilanciare una coalizione troppo ancorata alla sinistra di Fratoianni e Bonelli e al populismo del M5s. Il tutto con il ritorno dello scouting per trovare quella figura in grado di connettere il centro con la sinistra, tra suggestioni civiche come Ernesto Maria Ruffini e usato sicuro alla Paolo Gentiloni.
L'altra trappola è il corteo pro-Gaza previsto per sabato a Roma. Un possibile boomerang. Un appuntamento a cui il campo largo arriva diviso, con Azione e Italia Viva che si vedranno a Milano il giorno prima, con una piattaforma diversa rispetto a quella di Pd, M5s, Avs, che non hanno voluto accettare le richieste di renziani e calendiani sull'esplicitazione del sostegno all'opposizione israeliana e sull'esposizione delle coccarde gialle per i rapiti del 7 ottobre. Il pericolo, temuto anche al Nazareno, è quello di infiltrazioni di estremisti pro-Pal in piazza.
Con il probabile corollario di slogan antisemiti, inni alla Palestina libera «dal fiume al mare», eventuali scontri con la Polizia. Ed è allarme perfino sulle bandiere di Hamas. Fuori programma in grado di scatenare un dibattito interno al Pd, capace di mettere sul banco degli imputati la segreteria, accusata di andare a rimorchio del M5s.