Politica

Draghi vince il match della rete unica

Il premier raggiunge l'obiettivo sfuggito ai predecessori fondandolo sul ruolo di Cdp

Draghi vince il match della rete unica

Comunque vada, il memorandum d'intesa tra Tim e Open Fiber, propedeutico alla creazione della rete unica, per Mario Draghi sarà una situazione win-win. Se nei cinque mesi previsti per la definizione dell'accordo si giungerà all'integrazione, il presidente del Consiglio avrà chiuso con successo una vicenda che si trascina da quasi sette anni. Nella remota ipotesi che si conservi lo status quo, invece, Palazzo Chigi avrà comunque delineato un percorso preciso per raggiungere l'obiettivo.

Bisogna, infatti, partire dal 2016 per comprendere la portata di questa vicenda quando l'allora premier Matteo Renzi diede vita a una società pubblica, Open Fiber (controllata pariteticamente dalla Cassa Depositi e Prestiti e da Enel), per fare concorrenza a Tim nella copertura in fibra delle aree bianche, cioè quelle non raggiunte dalla banda ultra larga. Lo scopo era semplice: convincere l'ex monopolista a trazione francese (Vivendi ne è ancora il socio di maggioranza relativa con il 23,75%) a scendere a miti consigli. La breve durata dell'esecutivo renziano non ha consentito al progetto di realizzarsi, sebbene l'ingresso di Cdp con il 9,9% all'epoca del governo Gentiloni avesse quello scopo.

Ma in questa legislatura i Cinque stelle hanno raccolto il testimone puntando sin dall'inizio alla creazione della società per la rete unica. Nell'agosto 2020, infatti, il governo Conte-bis era giunto in prossimità del traguardo. Il progetto, però, non piaceva a tutto l'arco costituzionale perché prevedeva sostanzialmente che Tim detenesse la maggioranza della nuova entità. Secondo i detrattori, un asset strategico per il Paese avrebbe potuto essere controllato da operatori esteri come la stessa Vivendi e, inoltre, avrebbe comportato problemi di Antitrust a livello europeo, in quanto la rete sarebbe stata controllata da un operatore.

In poco meno di un anno e mezzo il governo Draghi ha sbrogliato questa matassa. In primis con il ministro della Transizione digitale, Vittorio Colao, ha di fatto respinto al mittente il progetto del 2020. In secondo luogo, ha rafforzato ulteriormente il ruolo di Cdp come player finanziario decisivo affidandola a Dario Scannapieco (oggi controlla il 9,9% di Tim e il 60% di Open Fiber mentre il restante 40% è del fondo Macquarie). Ultimo ma non meno importante, ha impostato un'operazione di mercato anche perché Tim - anche per la difficile situazione di mercato - ha aperto FiberCop, la società della rete secondaria che va dalle cabine alle case, al fondo Usa Kkr che ne controlla il 37,5%, mentre un ulteriore 4,5% è di FastWeb.

Draghi ha raggiunto il risultato restando super partes. L'ad Tim, Pietro Labriola, ha cambiato strategia anche per dare una svolta a un gruppo che ha bisogno di aumentare la redditività per ridurre l'indebitamento. E la strategia per valorizzare la Rete è funzionale a questo progetto («La somma delle parti di Tim dà un valore superiore alla sua capitalizzazione di Borsa», ha detto qualche tempo fa Labriola). Questo ha facilitato il compito del premier.

Senza contare che Tim e Open Fiber sono destinatarie di 3,4 miliardi del Pnrr per collegare con la banda ultralarga 7 milioni di famiglie.

Commenti