Cronache

Il dramma di Adriano, jazzista fattorino. Ucciso dalla crisi senza mai arrendersi

Il musicista romano appiedato dal Covid s'era inventato un lavoro. Morto di infarto, spingeva l'auto in panne durante una consegna

Il dramma di Adriano, jazzista fattorino. Ucciso dalla crisi senza mai arrendersi

Fumava il sigaro, si esibiva con papillon e pochette, si sedeva al pianoforte elegantissimo e, con la stessa eleganza, aveva deciso di non lasciarsi schiacciare da una cosa così brutta come questo virus. A vedere le foto di Adriano Urso, oggi che la sua storia ha commosso tutta Italia, così strappalacrime da sembrare quasi architettata da un maestro di fiabe dall'animo nero, un Andersen romano, non è facile immaginare che questo musicista jazz quarantunenne, avvolto nei suoi completi impeccabili e con la chioma impomatata, facesse il rider, uno di quegli eroici ragazzi (ma sempre più spesso signori di età più avanzata) che, in questi mesi, hanno continuato a consegnare cibo nelle case degli italiani rinchiusi per Covid. E che, per questo, sia morto, domenica scorsa, nel tentativo di rimettere in moto la sua automobile (lui consegnava a bordo della sua Fiat 750 special, un'auto d'epoca) che lo aveva mollato in mezzo alla strada.

Il virus, e le misure antivirus, avevano lasciato Urso senza lavoro: niente più spettacoli, niente più tournée, niente più pubblico. E così lui, anche se aveva l'aria del pianista di Casablanca, non si è dato arie e, per suonarla ancora, Sam, aveva seguito un piano B; umile, faticoso, anche umiliante da un certo punto di vista, perché era un musicista affermato e stimato nel suo ambiente, e a nessuno piace dover abbandonare la propria strada, sentirsi un «fallito», ma Urso era stato molto più coraggioso dei pregiudizi e, anziché lasciarsi fallire, si era subito rialzato, anche se in modo diverso da quello che gli era pennellato addosso.

Ma all'Andersen romano la storia non sembrava abbastanza triste così, non bastava che Urso avesse lasciato la sua musica - costretto dalle circostanze, perché, come ha scritto un'amica, lui senza musica era perso - e si fosse messo a trasportare pizze, sushi e hamburger su e giù per le strade di Roma, nei ranghi di una catena di delivery fra i quali si distingueva per la sua vettura vintage. È proprio a questo dettaglio che si è attaccato l'Andersen romano, in una fredda sera di gennaio, in una via non deserta della capitale. Urso è rimasto bloccato. Due concittadini hanno provato ad aiutarlo a spingere l'auto, per rimetterla in moto, ma il pianista non ha retto allo sforzo: è morto di infarto, e i soccorritori del 118 hanno tentato invano di rianimarlo. Si trovava nella zona Roma 70, che sembra il nome di un taxi, e invece ci sono strade dedicate ai grandi delle corse, Ascari, Nuvolari, che forse avrebbero apprezzato lo suo stile inusuale della sua vettura. E magari avrebbero amato anche le sue improvvisazioni jazz al pianoforte: forse, mentre consegnava, al volante Adriano Urso continuava a suonare nella sua mente, come fanno i grandi pianisti, e non smetteva di sognare.

Infatti, anche quando l'auto l'ha tradito, lui non si è dato per vinto, e ci ha provato ancora: la consegna, come il pezzo, andava portata fino in fondo. Un destino che ricorda certi film muti di Charlie Chaplin, in cui non servono le parole per raccontare quanto la vita possa incaponirsi contro un uomo, chissà poi perché, tanto più che quell'uomo pare proprio un brav'uomo.

La crudeltà è così, anche quando non è figlia della volontà perversa di un'altra persona ci ferisce, ci fa del male, a volte ci annienta e non riusciamo nemmeno a trovare la consolazione di un perché.

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