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Il dualismo Fontana-Moratti ora inquieta la Lombardia

La Lega conferma il governatore, l'ex sindaco insiste: io resto a disposizione. E i dem sperano

Il dualismo Fontana-Moratti ora inquieta la Lombardia

Le Comunali hanno ringalluzzito la sinistra. Anche in Lombardia, non c'è che dire, l'esito dei ballottaggi ha rafforzato le velleità dei progressisti, che da quasi 30 anni agognano il Pirellone e ora sperano che le Regionali del 2023 possano essere la volta buona.

Dopo un primo turno in chiaroscuro, il bilancio complessivo di queste Amministrative pare netto: il centrodestra perde tutti e tre i capoluoghi al voto (Lodi, Monza e Como) e ora gliene restano solo due (Pavia e Sondrio), mentre il centrosinistra ne guadagna due (Monza e Lodi) salendo a 9. Le cifre però non dicono tutto. Oltre l'aritmetica, l'impressione è che il crollo ci sia solo per chi vuole vederlo. Il crollo vero è quello dell'affluenza, ma se si va a vedere come ha votato la «Lombardia profonda», soprattutto a ottobre ma anche in questa occasione, si vede che il centrodestra resta forte. E probabilmente solo una certa tendenza al masochismo potrebbe farlo «cadere». Certo ora la coalizione deve gestire il dualismo che si prospetta fra il governatore Attilio Fontana, e la vice Letizia Moratti - che nei giorni scorsi si è fatta avanti. Ieri a Palazzo Lombardia si sono incontrati il leader della Lega Matteo Salvini, il segretario regionale Fabrizio Cecchetti, il ministro Giancarlo Giorgetti e lo stesso Fontana. Ne è uscita la conferma del governatore come «candidato naturale». «Sono contento - ha commentato l'interessato - Avevo già detto che ero pronto a proseguire il mio lavoro, e voglio farlo con ancora più determinazione». Moratti ha comunque ribadito di essere «a disposizione», ma ha chiarito anche che «decideranno i partiti». «La Lega ha deciso - spiega Cecchetti - vediamo ora cosa decideranno gli altri. Per me, se rimane compatto, con Fontana, il centrodestra vince. E ora si continua a lavorare».

Il Pd, il candidato deve ancora trovarlo. Alle comunali, in realtà, domina da anni nelle città ma poi fatica nei centri medi e nelle «valli». Certo, il voto di domenica legittima i sogni di gloria dei dirigenti dem - che già due settimane fa leggevano la vittoria di Lodi come «un avviso di sfratto» al centrodestra. E va bene l'ottimismo, ma il segretario Pd Vinicio Peluffo si fa prendere la mano quando dice che dal voto «esce vincente un campo progressista ampio, plurale, capace di dialogare con tutte le forze all'opposizione di Fontana».

Le Comunali confermano invece che se il centrodestra saprà presentarsi unito e mettere le caselle a posto non ci sono motivi per pensare che Palazzo Lombardia possa cadere. A vincere è stata più che altro l'astensione e nessuno dimentica che alle Regionali si vota col turno unico, che evita lo psicodramma-ballottaggi. Monza è politicamente un po' riottosa: l'uscente perde sempre e stavolta l'uscente era Dario Allevi, che pure ha ben amministrato. Lo sfidante Paolo Pilotto ha recuperato 7 punti, ma sommando i due turni ha preso 36.074 voti, mentre Allevi ne ha conquistati 38.336. Decisiva è stata la diserzione delle urne in una domenica di fine giugno, e anche a Lodi, più che il «campo largo» ha vinto l'enfant prodige Andrea Furegato, eppure un po' ovunque il Pd continua a navigare intorno al 20% e i 5 Stelle o non si presentano o sono impercettibili (1,5% a Lodi). A Sesto San Giovanni sono sbarcati Giuseppe Conte ed Enrico Letta, ma il candidato del «campo largo» Michele Foggetta nulla hanno potuto contro il leghista Roberto Di Stefano, che con una campagna intelligente (la sua «civica» ha superato il 30%) ha conquistato il bis nella roccaforte rossa.

Como sì, conferma che il centrodestra può farsi male - è rimasto fuori dal ballottaggio - però la vittoria di un civico dimostra anche che quella «Lombardia profonda» non ne vuole sapere della sinistra.

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