«Nessuno tocchi Report». Tra le firme in calce all'appello del 2011, quando a minacciare la libera informazione Rai era il governo di centrodestra, c'erano pure quelle di Roberto Benigni e di sua moglie Nicoletta Braschi. C'era da difendere il programma della Gabanelli, «uno dei simboli del servizio pubblico», e il comico toscano non fece mancare il suo appoggio alla nobile causa. Ma certo, è più facile difendere la libertà di stampa quando tocca gli affari altrui, meno quando si occupa dei propri. E così, appena Report ha messo il naso negli affari di casa Benigni, il premio Oscar ha reagito con ben poca ironia. Invece di raccontare la sua versione della vicenda, magari con la leggerezza e l'humor di cui è maestro, Benigni è subito passato alle vie legali. Prima la diffida a mandare in onda l'inchiesta, quindi la querela. Lo fa sapere il suo avvocato Michele Gentiloni Silveri (cugino del premier Gentiloni): «Nell'interesse di Nicoletta Braschi e Roberto Benigni, sia in proprio che quali soci di Melampo Cinematografica Srl, comunico di aver ricevuto mandato di sporgere querela presso la Procura della Repubblica di Roma nei confronti di Giorgio Mottola e Sigfrido Ranucci, nonché di chiunque altro abbia con loro concorso o cooperato, in relazione alle notizie false e gravemente diffamatorie diffuse nel corso della puntata del 17 aprile 2017 della trasmissione Report».
Le «notizie false» riguardano l'investimento fatto dalla società dei coniugi Benigni, la Melampo Srl, in un progetto che puntava a creare un nuovo polo di produzione cinematografica in Umbria, precisamente a Papigno (Terni), dove Benigni aveva girato La vita è bella, ricostruendo il lager in una fabbrica dismessa di proprietà comunale. Il progetto degli Umbria Studios affascina tutti, autorità locali, facoltà universitarie, ministri dell'epoca, e con un nome come Benigni i finanziamenti (pubblici) arrivano con facilità, più di 10 milioni secondo Report. La Hollywood umbra però non decolla, a parte i successivi due film dello stesso Benigni (i meno fortunati Pinocchio e La tigre e la neve) non si gira nulla, e anzi la società va avanti solo grazie ai canoni di affitto che versa l'altro socio, la Cinecittà Studios di Abete, Della Valle e De Laurentis. Si accumulano perdite per 5 milioni di euro, eppure nel 2005 Benigni convince Cinecittà Studios a comprargli le quote della società. «Ha fatto due conti, evidentemente, ha trovato molto più comodo andarsene e lasciare la patata bollente in mano ad altri» dice a Report l'ex vicesindaco di Terni, Enrico Malasecche. Cifre e ricostruzioni contestate da Benigni, che querela tutti. Poca solidarietà stavolta a Report, rea di essersi messa contro Benigni. «Per Benigni la libertà di informazione è a corrente alternata» commenta l'azzurro Stefano Maullu.
«Benigni, il finto difensore della nostra Costituzione, ha gettato la maschera e ha dimostrato cosa gli sta a cuore davvero» attaccano i parlamentari M5s della Vigilanza Rai. E sul blog di Grillo si legge: «Benigni non è intoccabile. Io sto con Report»
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