
Il presidente dell'Anac Giuseppe Busia (nella foto) accusa governo e maggioranza di agevolare la corruzione. Non è la prima volta e non sarà l'ultima. «Ho il dovere di collaborare e la libertà di criticare», ha più volte detto il giurista. Sarà, ma la sua relazione in Parlamento somiglia più a una dichiarazione «politica», che entra nel merito delle decisioni dell'Aula, tanto che opposizione e sindacati approfittano di queste presunte «verità scomode» per lanciare strali al governo. E così l'analisi sullo stato dell'arte del Pnrr diventa il pretesto per l'ennesima invasione di campo sui «troppi appalti diretti non concorrenziali sottosoglia, più che triplicati rispetto al 2021 grazie a escamotage come i frazionamenti artificiosi», i «tanti casi di conflitti di interesse, piccoli e grandi, che minano la credibilità delle istituzioni» e i «pochi presidi anti corruzione» dopo l'abolizione dell'abuso d'ufficio, decisione che la Consulta recentemente ha sublimato, respingendo le pretestuose accuse di incostituzionalità. Secondo il magistrato resta il «vuoto di tutela amministrativa» che avrebbe lasciato l'abrogazione del reato perché l'esecutivo non avrebbe «compensato l'eliminazione della sanzione penale». L'altra bacchettata arriva sul traffico d'influenze, altra fattispecie rivista, lasciando ad avviso di Busia «una grave carenza» rispetto alle «pressioni pervasive», più volte «evidenziata dalle organizzazioni internazionali». Quale? «L'assenza di una disciplina organica sulle lobby» associata alla riduzione di tutele sul conflitto di interessi «operata dal Codice dei contratti pubblici», da cui deriverebbe «un progressivo indebolimento delle garanzie amministrative poste a presidio dell'indipendenza e correttezza dell'agire pubblico».
Più volte in passato Busia, accusato di simpatie M5s e nominato da Giuseppe Conte nel 2020, ha sottolineato come a suo avviso queste mancanze legislative e queste scelte «politiche» avrebbero «sacrificato la trasparenza in favore della velocità» e avrebbero prodotto, si legge nella relazione letta ieri, il «proliferare di comportamenti anche opportunistici, dietro i quali si nascondono sovente sprechi irragionevoli, e purtroppo qualche volta anche infiltrazioni criminali e mafiose». La colpa sarebbe anche dei sindaci, più volte accusati indirettamente da Busia di essere sostanzialmente dei corrotti, tanto che due anni fa è dovuto intervenire il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, autore di gran parte delle riforme del Codice degli appalti, perché Busia correggesse il tiro.
Ma a far discutere è la frase sui whistleblower, i dipendenti pubblici che denunciano la corruzione dei loro superiori sul luogo di lavoro e che «di fronte ad illeciti più o meno gravi, non si voltano dall'altra parte, ma si attivano, segnalano, denunciano; anche a costo di ritorsioni, anche al prezzo della carriera». Peccato che almeno uno di loro sia stato lasciato sostanzialmente da solo proprio dall'Anac. Si tratta del dirigente delle Dogane vittima di un «mobbing ritorsivo» (lo dice una sentenza del tribunale di Roma) per aver denunciato lo scandalo delle mascherine, senza che l'Anticorruzione sia mai intervenuta prima della sentenza - non ancora definitiva, naturalmente - che gli dava ragione.
A quanto risulta al Giornale l'Anac saprebbe esattamente cosa è successo durante la pandemia, ma al momento non risulterebbe alcun atto formale sulla vicenda, ai sensi dell'articolo 331 del Codice di procedura penale (obbligo di denuncia di un reato da parte dei pubblici ufficiali). Chissà che la commissione d'inchiesta sul Covid non voglia acquisire anche questo corposo dossier.