Roma - Le parole del ministro Tria al Workshop Ambrosetti di Cernobbio confermano un dato sostanziale nei primi 101 giorni del governo gialloverde: è sempre la Lega a dover fare retromarcia in questa coalizione. Il no alla spesa in deficit che, in pratica, suona come la pietra tombale sulla flat tax non è un episodio isolato. Basta andare indietro di un paio di giorni per incontrare un Matteo Salvini costretto a smentire se stesso in materia di riforma del potere giudiziario («Non c'è un golpe dei magistrati»). Il ministro dell'Interno, messo alla gogna con un avviso di garanzia per la vicenda della nave Diciotti e con un partito al verde per via del sequestro di tutta la liquidità disponibile fino a 49 milioni di euro, non può nemmeno lamentarsi di una magistratura che fa politica senza avere i voti. Non può invocare una qualche limitazione del potere assoluto dei giudici italiani, sempre pronti ad «aggredire» chi non faccia parte della combriccola sinistrorsa. Venerdì è scattata la telefonata del sodale Di Maio a riportarlo sulla retta via. Anche perché il M5s sul giustizialismo ha costruito parte delle proprie fortune.
Lo stesso discorso vale per il caso del ministro leghista Lorenzo Fontana e per tutte le volte in cui il Carroccio ha voluto recitare la parte del difensore della famiglia tradizionale. «Non è previsto dal contratto di governo», hanno fatto immediatamente sapere all'unisono tanto i pentastellati quanto lo stesso Salvini allorquando il ministro per la Famiglia ha fatto sapere di non gradire le unioni civili e l'iscrizione nello stato di famiglia dei figli nelle unioni civili. Ripristinare lo status quo ante e mettere al primo posto l'unica e vera famiglia, quella della dottrina cattolica, resta una pia illusione. In questa situazione, però, la Lega ha fatto valere una sorta di bonus stoppando la fuga in avanti dei grillini per l'introduzione di una quota fissa di medici abortisti negli ospedali.
Ma è un magra consolazione. In tema di infrastrutture, ad esempio, la Lega è costretta a rintuzzare. Salvini ripete spesso che lui preferisce «fare e non distruggere», ma tanto sulla Tav quanto sul gasdotto Tap continuano a pesare le incognite legate alla volontà pentastellata di non allontanarsi troppo da una base elettorale già infuriata per la mancata chiusura dell'Ilva di Taranto. E lo stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda l'attitudine statalista del M5s che vorrebbe nazionalizzare le concessioni autostradali dopo il disastro di Genova. Una Lega storicamente favorevole al libero mercato e costretta a smarcarsi con i distinguo, ma, a conti fatti, è sempre troppo poco.
Data per persa la flat tax, resta la pace fiscale l'ultimo vero banco di prova per una maggioranza i cui margini di
manovra sono ogni giorno più stretti. Considerato che ai grillini i condoni non piacciono, non c'è da essere sommamente fiduciosi. Resta il fatto che, ammainando pure questa bandiera, questo governo non avrebbe più senso.
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