I l partitone dei No Voto mette a segno un colpo, spiazza il Pd renziano e riesce a rinviare l'esame della legge elettorale. Una prima risposta al blitz di Matteo Renzi, che martedì sera era riuscito a far mettere nel calendario della Camera l'esame della legge per il 27 febbraio. Ma la data ora appare molto più incerta.
E lo stesso Renzi, anche per depotenziare lo scontro interno e bagnare le polveri dei suoi avversari, mette da parte il viso dell'arme e si dice pronto anche ad aspettare la fine naturale della legislatura, celebrando a scadenza (cioè nel prossimo dicembre) il congresso del Pd: «A patto che dopo chi perde rispetti chi ha vinto, altrimenti è l'anarchia», manda a dire ai vari Bersani.
Ma la sua convinzione resta che sia molto meglio votare a giugno, anche per una considerazione politica di fondo: lo scontro con i falchi della Ue sui conti pubblici sarà difficile da gestire per un governo oggettivamente debole, perché uscito da una sconfitta referendaria, e non sanzionato dal voto. In ogni caso ieri sera, in un'intervista al Tg1 attesa col fiato sospeso dai dirigenti Pd, ieri sera Renzi non ha affondato sulle elezioni anticipate: «Non so quando si voterà, non lo decido io».
Ieri intanto è partito il contrattacco anti-voto in commissione Affari costituzionali di Montecitorio, competente sulla materia: i capigruppo di Forza Italia, delle varie formazioni centriste, di Sel e del gruppo Misto hanno inviato una lettera alla presidente Laura Boldrini e al presidente della commissione Mazziotti di Celso chiedendo che, in base all'articolo 108 del regolamento di Montecitorio, l'esame la legge venga esaminata «congiuntamente» alla sentenza della Corte Costituzionale sull'Italicum. «E per farlo occorre attendere le motivazioni di quella sentenza», che ancora sono in via di digestione alla Consulta, spiegano. Proteste di Pd, Lega e Cinque Stelle, ma l'obiezione è stata accolta. Esulta Forza Italia, che parla di «vittoria della ragionevolezza e del buon senso». Il Pd, attraverso il capogruppo in commissione Emanuele Fiano, ha comunque ottenuto che il 9 febbraio inizi l'esame delle proposte già depositate, Mattarellum in testa. Resta il fatto che l'approdo in aula potrà avvenire solo una volta chiuso l'esame in commissione, e il fronte anti-voto farà di tutto per rallentare. Un fronte che ha ampie propaggini anche nel Pd, come si è visto dall'insurrezione della minoranza ma non solo: mercoledì, nell'ufficio di presidenza del gruppo Pd, il capogruppo renziano Ettore Rosato ha dovuto fronteggiare una rivolta dell'ala Dc, con il fioroniano Gero Grassi che tuonava contro la «irresponsabile» corsa verso il voto. Intanto si rompe l'anomala alleanza Pd-Cinque Stelle che ha portato alla calendarizzazione della legge elettorale: Beppe Grillo ha fatto l'ennesimo dietro-front sull'Italicum, annunciando che dei capilista bloccati (pur approvati dalla Consulta) lui non ne vuol sapere, visto che tanto in casa sua i candidati li decide comunque lui. E ieri i Cinque stelle accusavano il Pd di «fare melina» sulla legge elettorale.
Sul fronte opposto, Renzi ripete da tempo ai suoi di non credere affatto alla voglia di elezioni anticipate dei grillini: «Grillo in realtà non vuole andare alle elezioni. Gli conviene che si vada a febbraio 2018 perché secondo lui più caos c'è più prende voti».
E soprattutto, aggiunge, il terribile pasticcio Campidoglio, con la sindaca Raggi sempre più sprofondata nel fango, rende i grillini ancor meno vogliosi di andare alle urne. Che dunque restano difficili da ottenere, come ben sa Renzi, che denuncia «i giochi da prima Repubblica che sono tornati» dopo il 4 dicembre.
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