Roma - Il processo di «salvinizzazione» della Lega Nord rallenta. L'obiettivo dell'80% dei consensi, fissato dal segretario uscente del Carroccio Matteo Salvini, per le primarie di domani contro lo sfidante Gianni Fava si allontana. Anzi, Salvini rischia di trasformarsi nel clone del suo principale avversario politico: Matteo Renzi. Quattro giorni fa, infatti, il leader della Lega Nord aveva promesso che sarebbe ritornato alla vita da semplice militante se non avesse raggiunto nella sfida contro Fava almeno l'80% dei voti. Un risultato che, visti i malumori del gruppo storico del Carroccio, da Umberto Bossi a Roberto Maroni, non sembra facile da raggiungere. L'ipotesi di un Salvini pronto a svestire i panni del leader nazionale si fa concreta. Anche perché sul nome dell'assessore regionale della Lombardia sta convergendo tutta l'area di dissenso alla guida salviniana della Lega Nord. A meno che Salvini non voglia seguire le orme di Matteo Renzi che aveva garantito l'addio alla politica in caso di sconfitta al referendum. Il 4 dicembre 2016 gli italiani hanno bocciato la riforma della Costituzione convinti anche di sbarazzarsi dell'esperienza del rottamatore fiorentino. Ma Renzi non solo non ha detto addio alla politica ma sta continuando, da riconfermato segretario del Pd, a bombardare il popolo italiano a colpi di slogan.
Se non raggiungesse la fatidica soglia dell'80%, Salvini si troverebbe a un bivio: rinunciare alla leadership o imitare il nemico Renzi. Scelta difficile anche perché l'obiettivo, ad oggi, non sembra a portata di mano. Per due ragioni. La prima, Fava raccoglie consensi di giorno in giorno soprattutto tra chi in questi anni si è opposto alla linea politica di Salvini. La seconda, di natura organizzativa: alla consultazione di domani non ci sarà possibilità di organizzare truppe cammellate in stile Pd ma le votazioni saranno riservate ai militanti con almeno un anno di anzianità dove è forte il malumore per la svolta lepenista a discapito delle battaglie federaliste.
I segnali che arrivano dalla terra padana non sono, dunque, incoraggianti per Salvini che ha ricevuto il primo schiaffo quando lo sfidante Fava ha consegnato le firme per la candidatura. Il leader del Carroccio sperava in un congresso cucito su misura, senza sfidanti. Certo che Fava non avesse la forza di raccogliere le firme. E invece l'assessore lombardo ne ha depositate 1055, poco sopra la soglia minima per accedere alla candidatura, ovvero mille, pari al 13% mentre Salvini ne ha raccolte 6.925 pari al 87%. Ora la partita non è truccata: non c'è la possibilità di plebiscito per un Salvini candidato unico. Fava comincia a credere nel colpaccio. Che non equivale a una vittoria ma in un risultato che possa indebolire politicamente la guida di Salvini: già avvicinarsi al 40% sarebbe un successo.
D'altra parte la vittoria di Macron in Francia ha rimesso in discussione tutto, con il governatore Roberto Maroni ha spiegato che «la parentesi lepenista si può considerare conclusa». C'è un secondo dato che preoccupa il Matteo leghista: nel 2013, Salvini approdò alla guida della Lega ottenendo l'82% dei consensi mentre Umberto Bossi si fermò al 18.
Un arretramento di voti rispetto a quattro anni fa avrebbe effetti negativi sulla tenuta della leadership soprattutto perché arriverebbe a ridosso dell'appuntamento elettorale. Uno scenario da incubo per il politico che sogna di diventare il primo premier in camicia verde.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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