Eastwood il «cecchino» punta sul meno peggio «Trump meglio di Hillary»

L'attore e regista, intervistato, ammette: «Non sempre condivido le sue idee, ma lo capisco»

Valeria Robecco

New York Questa volta non ha scelto un gesto plateale, come il lungo monologo con la sedia vuota di quattro anni fa, ma Clint Eastwood è riuscito nuovamente a scatenare polemiche con il suo appoggio a Donald Trump. L'attore e regista 86enne conferma la sua inossidabile fede repubblicana, e anche se il suo non è un vero e proprio endorsement, poco ci manca. La scelta tra la democratica Hillary Clinton e il candidato del Grand Old Party «è dura, non è vero?», ammette in un'intervista a Esquire insieme al figlio Scott, anche lui attore. Eastwood, però, ha deciso chi voterà il prossimo 8 novembre per il rinnovo della Casa Bianca: «Devo optare per Trump, perché Hillary ha detto che seguirà i passi di Barack Obama».

L'attore e regista (il suo «Americane sniper» ha ricevuto nel 2015 sei nomination agli Oscar)tuttavia tiene a precisare che stavolta non si tratta di un appoggio ufficiale, sottolineando: «Non ho dato il mio endorsement a nessuno, e non ho parlato con Trump». Il fatto, continua, è che «segretamente, tutti si stanno stufando del politicamente corretto», quella attuale è «una pussy generation», una generazione di femminucce. «E di leccapiedi». «Non puoi fare questo, non puoi dire quest'altro, piovono accuse di razzismo per cose che una volta non erano definite razziste - spiega ancora Clint -. Trump dice solo quello che gli passa per la testa, e a volte non va bene. A volte posso capirlo, ma non sempre sono d'accordo con lui». E poi, il quattro volte premio Oscar consiglia a chi si sente offeso dalle frasi razziste del re del mattone di «andare oltre, e farsene una ragione».

Eastwood conferma il suo coriaceo Dna repubblicano, anche se in maniera più sobria rispetto al 2012. Quest'anno non ha partecipato alla Convention Gop, mentre 4 anni fa alla kermesse di Tampa era salito sul palco mettendo in scena una performance indimenticabile. Per circa 12 minuti usò una sedia vuota per parlare a un presidente, Barack Obama, assente: un'idea nata in camerino prima del suo intervento e ispirata dalla frase di una canzone di Neil Diamond («And no one heard at all/ not even the chair»). Ma che allora venne stroncata impietosamente da tutti, soprattutto perché aveva distolto l'attenzione dall'allora candidato Mitt Romney.

Eastwood, considerato un'icona della mascolinità è registrato come repubblicano fin dal 1951, quando sostenne la candidatura di Dwight Eisenhower. Pur non avendo mai votato per un presidente democratico, però, su alcune questioni etiche si è mostrato progressista, ad esempio dichiarandosi favorevole alle nozze gay, all'eutanasia (di cui ha parlato nel film Million Dollar Baby) e all'aborto. In politica estera, invece, si dichiara isolazionista, sostenendo che «gli Usa non dovrebbero esportare la democrazia in paesi che possono vivere in pace solo sotto dittature». Le sue parole nei confronti di Trump, in qualche modo, ora, rappresentano un appoggio che arriva in un momento difficile per il re del mattone.

Dopo le polemiche con la famiglia del soldato musulmano ucciso in Iraq e l'aver evocato lo spettro di «elezioni truccate», Trump ha deciso di andare allo scontro diretto con i vertici del partito repubblicano, dicendo che non sosterrà la rielezione in Congresso dello speaker della Camera Paul Ryan e del senatore John McCain. E l'86enne regista non è il solo nella schiera dei Vip americani che scelgono di stare dall'altra parte rispetto al correntone delle «celebrità» democratiche.

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