Ecatombe di leader a sinistra Adesso fallisce anche Prodi

Dopo i forfait di Alfano e Pisapia, il Prof si sfila da Fassino e abbandona la mediazione: la rottura è colpa di Renzi

Ecatombe di leader a sinistra Adesso fallisce anche Prodi

«Non tutte le frittate riescono bene», dice Romano Prodi, che si rammarica per la defezione di Giuliano Pisapia. La frittata era, nella metafora prodiana, il centrosinistra: «Il tentativo che io e Fassino abbiamo fatto era quello di incollare la situazione, ma poi la colla non ha funzionato», ammette. L'ex premier dell'Ulivo pensa con nostalgia alla sua coalizione, quella con «quattrocento pagine di programma» e che andò in frantumi dopo un paio d'anni. Ora Prodi tira i remi in barca: ieri mattina ha visto il «mediatore» Pd Piero Fassino, ma non ha dato segni di volersi spendere oltre per il bene del Pd. La colpa principale, secondo lui, ce l'ha Matteo Renzi, che per la ricostruzione del centrosinistra modello prodiano non ha mai mostrato grande interesse. Tanto che ieri sera, in tv, il leader del Pd ha ribadito che nelle ultime settimane lui si è «occupato di problemi veri che interessano gli italiani. Occupazione, tasse, cose serie, non alleanze o coalizioni».

Nel frattempo, le uova si sono rotte ma la frittata perde pezzi. «Meno male che ci sono i Radicali», dice tra il serio e il faceto uno dei dirigenti Pd che seguono la partita delle alleanze. Perchè al momento l'unica alleanza che si può dare - quasi - per acquisita è quella con Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, seguita personalmente dal premier Gentiloni, che ieri li ha invitati a Palazzo Chigi per annunciare ufficialmente la presentazione di un emendamento ad hoc alla legge di Bilancio che taglia il numero di firme necessario a presentare una lista nuova come quella «Più Europa».

Era, insieme al biotestamento, una delle richieste prioritarie dei Radicali per entrare in coalizione col Pd, ed è stata soddisfatta. Ciò detto, è difficile che l'alleanza con i Radicali (su cui grava ancora l'incognita principale: Bonino si candida o no?) sia risolutiva, a fronte del fuggi fuggi del centrosinistra. La resa di Giuliano Pisapia è una batosta non tanto sul piano elettorale («Lui e gli ex Sel ci avrebbero portato più rogne sul programma che voti», dicono i renziani) quanto sul piano dell'immagine e anche del clima interno. «Sarebbe stato utile a tener buona la nostra sinistra interna», sospirano dalle parti del Nazareno. Ora si cercherà di mettere insieme una lista di sinistra con Verdi, socialisti e qualche spezzone degli ex Pisapia.

Quanto alla lista centrista, lunedì la direzione di Ap dovrebbe sciogliere le riserve e, nelle aspettative del Pd, nominare come propria leader Beatrice Lorenzin, ministro e donna: una spolverata di novità. Per poi dar vita ad una lista unitaria con Casini, Dellai e altri spezzoni di centro. Mentre Maurizio Lupi viene dato - con dolore - per perso dai dem: «Andrà con il centrodestra». Angelino Alfano, assicurano invece, «lavora al progetto e lo sosterrà». La decisione del ministro degli Esteri di non ricandidarsi non è stata sollecitata dal Pd, tanto meno per far contento Pisapia, ma è stata presa del tutto autonomamente, dopo - ha raccontato il ministro ad un dirigente renziano - «una domenica passata in famiglia a ragionarci su». Alfano ha spiegato di «non poterne più» di essere additato come uomo nero del poltronismo. «La scelta di Alfano merita grande rispetto. Tutti gli dicevano poltronaro.

Quando l'ha fatta Di Battista tutti ad applaudirgli e invece quando lo fa Alfano nessuno gli rende l'onore delle armi: ha fatto un atto di grande dignità», riconosce Renzi. Che, a sorpresa, rende l'onore delle armi anche a Elsa Fornero: «Grazie alla sua riforma, il sistema italiano starà meglio degli altri».

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