Le Borse temono che la crescita della Cina inferiore alle attese possa far riprecipitare il mondo in recessione come avvenne nel 2008. Per scongiurare questo pericolo, le autorità di Pechino devono tornare a governare gli eventi e adottare un «Qe» (Quantitative easing) come hanno fatto gli Stati Uniti e il regno Unito subito dopo la crisi del 2008 o, più di recente il Giappone e la stessa Banca centrale europea: un poderoso programma di acquisto di titoli cinesi (sia obbligazionari che azionari) consentirebbe ai mercati di ritrovare una stabilità. In alternativa Pechino può mettere mano alle ingenti riserve valutarie, accumulate negli ultimi 30 anni di crescita, per inondare di liquidità il sistema e scongiurare così il contagio al resto del mondo. Se Pechino fallirà, lo spettro è un replay di quanto accaduto dopo il crac di Lehman Brothers nel settembre 2008. In attesa di verificare che cosa accadrà, le tre stelle da osservare per orientare la «bussola» dei nostri investimenti sono la Federal Reserve americana, la Bce e l'andamento dell'economia reale italiana.
In attesa del nodo tassi meglio restare "liquidi"
Il 17 settembre, è prevista la riunione della Federal Reserve ma, visto quanto sta accadendo in Cina e nelle Borse mondiali, appare molto probabile che la banca centrale Usa non rialzi i tassi. Infatti, sebbene secondo alcuni economisti e case d'investimento internazionali la Fed farebbe bene ad agire, le prospettive sono cambiate nelle ultime due settimane, soprattutto dopo che la Cina ha ufficializzato di crescere meno del previsto ed è corsa a svalutare il renminbi. In sostanza, si pensa che la Fed non toccherà la leva dei tassi almeno fino a ottobre. In questo scenario, il consiglio per i risparmiatori che hanno denaro da investire è di «parcheggiare» la liquiditànei conti deposito non vincolati o in pronti contro termine, mantenendo (ma senza aumentarla) la presa sui Titoli di Stato italiani con scadenze brevi (massimo tre anni). Interessanti, inoltre, i Titoli di Stato Usa (scadenza massima 2020) per due motivi: 1) gli investitori internazionali dovrebbero continuare a comperarli, facendone così aumentare il valore; 2) il dollaro ha molte più possibilità di rafforzarsi rispetto all'euro di quanto ne abbia di svalutarsi ancora anche senza il rialzo dei tassi americani. Infine, in un'ottica «anti-panico» si può investire in oro, tramite Etf o fondi specializzati (fino al 5% del portafoglio). Chi non ha liquidità a disposizione, può fare cassa vendendo le azioni dei Paesi emergenti, i titoli obbligazionari in valuta locale degli Stati in via sviluppo e i fondi globali specializzati sulle materie prime.
Bene i titoli di Stato con un occhio alle azioni
Giovedì 3 settembre ci sarà la conferenza stampa della Bce in cui Mario Draghi, con ogni probabilità, utilizzerà ogni mezzo per tranquillizzare gli investitori sulla tenuta dell'euro, garantendo il proseguimento del «Qe» almeno fino a settembre 2016 (come già annunciato) e, magari, facendo capire che, se necessario, potrebbe proseguire oltre. I tassi di interesse a zero dell'area euro sarebbero, quindi, praticamente garantiti per almeno altri 12-15 mesi, con ricadute positive sui prestiti a famiglie e imprese. Il risultato dovrebbe essere l'ulteriore rafforzamento dei Titoli di Stato della zona euro che sono, quindi, da tenere in portafoglio (ma senza aumentarne il peso); soprattutto quelli italiani che rendono un po' di più rispetto a quelli tedeschi e francesi. Chi ha poche azioni in portafoglio, può poi valutare, se la correzione delle Borse dovesse proseguire, di tornare a scommettere sull'azionario dell'euro zona, magari tramite i «Pac», i piani di accumulo,che consentono di mediare i costi e rischi. A favore delle azioni giocano i tassi a zero, la bassa inflazione, i costi dell'energia in forte diminuzione (grazie al crollo del petrolio) e l'euro debole. Attenzione però alle elezioni politiche in Spagna, che potrebbero causare tensione nelle Borse per l'esito incerto del voto. Quindi potrebbe avere senso, con una tattica prudenziale, alleggerire, prima delle elezioni spagnole, il peso dei Titoli di Stato e delle azioni della zona euro, aumentando invece l'esposizione verso Wall Street e la Borsa giapponese.
Se l'economia rallenta il Fisco chiederà di più
Se la crisi cinese dovesse persistere o restare comunque lontana da una soluzione, ci saranno ricadute negative sull'economia globale. Questo, a sua volta, significherebbe minori opportunità di esportazioni per i beni e i servizi del nostro Paese che, grazie proprio all'export, è riuscito a uscire nel primo semestre da una lunga recessione. L'Italia sarebbe pertanto esposta a un nuovo rallentamento, che potrebbe compromettere le attuali stime di crescita del pil (+0,6-0,7% quest'anno e +1,5-1,6% nel 2016) in base alle quali sono stati elaborati i conti pubblici. In pratica significa che i risparmiatori potrebbero non solo vedere disattesa la promessa del governo di cancellare alcune tasse (in primis quella sulla prima casa) ma addirittura assistere all'aumento delle imposte comunali e regionali. Ecco perché potrebbe rivelarsi indispensabile, a novembre, accantonare delle somme per fare fronte alle eventuali richieste che farà il fisco nel 2016.
A tale scopo, si potrebbe vendere, oltre alle azioni e alle obbligazioni in valuta locale dei Paesi emergenti, una piccola parte di Titoli di Stato italiani e dell'area euro (cominciando dalle scadenza oltre il 2018), così come alleggerire le azioni dei settori più esposti direttamente al ciclo economico quali gli industriali, i chimici, l'immobiliare, l'auto e i beni di consumo di lusso. Se invece, come tutti gli italiani sperano, non ci sarà la sgradita sorpresa del fisco, sarebbe una buona scelta impiegare una parte della liquidità in Etf o fondi obbligazionari area dollaro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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