Economia low cost al capolinea. Ma ci ha reso tutti più poveri

Fino a poco tempo fa, gli italiani andavano in Albania come operatori del turismo, per aprire un ristorante o fare i barman. Da quest'estate ci vanno anche come turisti, perché le vacanze in Italia sono diventate care

Economia low cost al capolinea. Ma ci ha reso tutti più poveri
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Fino a poco tempo fa, gli italiani andavano in Albania come operatori del turismo, per aprire un ristorante o fare i barman. Da quest'estate ci vanno anche come turisti, perché le vacanze in Italia sono diventate care. Quell'economia low cost regalo della globalizzazione è finita, o sta per finire.

Mobili che costano niente, voli più economici del taxi per l'aeroporto, magliette e scarpe da una stagione e via tanto, per quello che l'hai pagate. Eravamo felici per quel golfino di cashmire sulla bancarella o per quel week-end a Praga, che è deliziosa. Erano gli anni dell'inflazione a zero-virgola e dei tassi d'interesse negativi. Però eravamo anche sempre più arrabbiati per i figli senza lavoro o sottopagati, dato che la produttività non cresceva e dunque nemmeno i salari. Tradotto, significa che una giornata di lavoro sfornava sempre lo stesso valore, mentre tutti gli altri miglioravano anno dopo anno. Non capivamo che fossero due facce della stessa medaglia.

Eppure, qualche voce nel deserto c'era. Sette anni fa il Giornale pubblicò un libriccino intitolato "Perché il low cost ci rende più poveri" dove si legge che "la mania diffusa di pagare poco i beni e i servizi è un virus che sta danneggiando le nostre fondamenta socioeconomiche. Con l'illusione di rendere accessibile tutto a tutti, produce e distribuisce povertà".

In sostanza il low cost, consentendo di godere di certi consumi come se fossimo benestanti, ha agito da anestetico per una cultura che non aveva mai abbracciato la logica del mercato e della competizione per crescere e migliorare il proprio tenore di vita. Del resto, come potrebbe essere diversamente per un popolo che ha scelto come santo patrono il poverello di Assisi, proprio perché era ricco e si fece povero?

Il nostro ideale di economia non è creare e distribuire ricchezza, ma livellare ciò che abbiamo, per poco che sia, matrice cattolica. Se poi aggiungiamo che il necessario, pur frugale, debba essere garantito, matrice comunista, allora diventa impossibile collegare i punti e capire che la soluzione a bassi salari e scarsità di lavoro non può essere abbassare i prezzi.

Ci ostiniamo a non vedere che il sistema economico italiano è incapace di produrre la ricchezza necessaria, perché è ingessato da troppe e contrastanti norme, perché non è abbastanza informatizzato e non vuole esserlo, perché lo Stato è troppo impegnato a giocare nel mercato e troppo poco a far rispettare le regole, perché sulle crisi interviene spargendo soldi dei contribuenti invece di aggiustare gli squilibri che le causano.

Oggi la festa è finita. La necessità di raddrizzare gli equilibri mondiali, che si erano inclinati un po' verso l'estremo oriente, un po' troppo in verità, ha messo in scacco la globalizzazione.

Le politiche di bilancio anti-Covid, iniettando fiumi di denaro, hanno fatto in un anno ciò che la politica monetaria non era riuscita a fare in un decennio: infiammare i prezzi. Aiutate, certo, dalle politiche green prima e dalla guerra poi, che hanno archiviato l'energia a buon mercato. Così, siamo ancora quelli il cui lavoro produce poco e poco viene pagato, ma il low cost è andato.

Alla fine, si tratta di

scegliere tra due idee di benessere: per qualcuno è pagare poco i prodotti e i servizi, per altri è guadagnare di più dal proprio lavoro. La giustizia sociale non è l'elemosina, ma dare al povero una chance di diventare ricco.

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