Un "effetto Donald" pure in Australia. La vittoria dei Laburisti di Albanese

Come in Canada, bocciati i conservatori: "Essere filo-Trump è stato un autogol". Il premier corre verso un bis al governo

Un "effetto Donald" pure in Australia. La vittoria dei Laburisti di Albanese
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L'effetto Donald ha colpito ancora. Esattamente come in Canada pochi giorni fa, secondo un'inesorabile tradizione che punisce i governanti uscenti (ma i sondaggi stavolta erano meno categorici in merito), in Australia l'opposizione conservatrice avrebbe dovuto far piazza pulita dei laburisti al governo: ma l'ansia e l'irritazione generati dai dazi imposti dal presidente americano sulle merci australiane dirette negli Stati Uniti hanno fatto cambiare idea a moltissimi elettori. E così Anthony Albanese, australiano di origini italiane, è diventato il primo premier da vent'anni a questa parte a vedersi confermato alla guida del suo Paese, mentre il suo sfidante Peter Dutton ha incontrato lo stesso destino del leader conservatore canadese Pierre Poilievre: non solo ha perduto le elezioni da favorito, ma ha subito l'umiliazione di non essere nemmeno rieletto in Parlamento, dopo 24 anni di vittorie consecutive nel suo seggio di Dickson nel Queensland.

Le dimensioni della vittoria dei laburisti sono schiaccianti. A conteggi ancora da ultimare hanno ottenuto 86 seggi e quindi un'ampia maggioranza assoluta (fissata a 76), mentre la coalizione conservatrice a guida liberale si è fermata a 35. Si sono rivelati decisivi i voti per Albanese delle grandi aree urbane: Sydney, Melbourne, Adelaide, Perth, Brisbane, oltre che della capitale Canberra e della Tasmania. Dutton ha fatto un impeccabile discorso di concessione della vittoria al suo avversario, si è scusato con i propri sostenitori e ha promesso «un'approfondita indagine» sulle cause della disastrosa sconfitta, ma il suo stesso futuro personale come guida del fronte conservatore appare ora a rischio.

L'esponente ed ex ministro laburista Bill Shorten ha spiegato con chiarezza come il cosiddetto «effetto Trump alla rovescia», con il fattore insicurezza determinato dalle mosse della nuova amministrazione americana, si sia rivelato determinante nella scelta elettorale di molti: «Numerosi australiani ha detto al quotidiano britannico The Guardian - vivono con disagio le politiche del presidente Trump, e così in tanti hanno fatto una scelta di continuità e di certezze che è andata anche al di là dell'adesione convinta al programma laburista. Questa è stata una delle elezioni in cui il peso delle questioni internazionali si è fatto sentire di più. È un fatto che certe prese di posizione in stile trumpiano fatte da diversi esponenti liberali si sono rivelate controproducenti, vista la situazione del momento».

Naturalmente anche altri importanti fattori, come le preoccupazioni per il costo della vita e per i cambiamenti climatici molto sentiti in Australia hanno guidato le scelte degli elettori. Ma il caso australiano conferma in modo chiaro che un paradossale effetto Trump a favore della sinistra si stia manifestando. Per ora fuori dagli Stati Uniti, anche se i sondaggi in America indicano un calo secco della popolarità del presidente.

Diverso potrebbe essere il caso dell'Europa, come hanno appena segnalato i risultati del voto amministrativo in Gran Bretagna.

E sarà interessante osservare quali saranno gli effetti dell'ultima entrata a gamba tesa trumpiana in Germania, la cui leadership politica si è sentita definire incredibilmente «tirannia sotto mentite spoglie» dal segretario di Stato Usa Marco Rubio dopo che un'indagine dell'agenzia d'intelligence tedesca ha raccomandato di considerare il partito di estrema destra Afd molto apprezzato alla Casa Bianca «un'organizzazione estremista che mette la democrazia in pericolo».

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