È un susseguirsi di previsioni nere. Le imprese italiane sono sedute sopra una bomba a orologeria. L'aumento a dismisura dell'energia combinato con un'inflazione all'8% mette a rischio da qui ai primi sei mesi del 2023 circa 120mila imprese del terziario e 370mila posti di lavoro. Questi sono i numeri in ballo, secondo Confcommercio-Imprese per l'Italia. I settori più esposti sono la media e grande distribuzione alimentare, che a luglio ha visto quintuplicare le bollette di luce e gas, la ristorazione e gli alberghi con costi triplicati in un anno. I trasporti stanno «fermando i mezzi a gas metano per i rincari della materia prima». Per il terziario si parla di una spesa complessiva in energia nel 2022 pari a 33 miliardi di euro, il triplo rispetto al 2021 (11 miliardi), e più del doppio rispetto al 2019, (14,9 miliardi). «È vitale tagliare drasticamente il costo dell'energia per tutte le imprese, anche quelle non energivore e gasivore - avverte il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli -. Si rischia di vanificare la ripresa economica di questi ultimi mesi».
Una richiesta unanime al governo che si insedierà dopo il 25 settembre arriva da tutte le associazioni. Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, si appella al governo di Mario Draghi per «un tetto al prezzo del gas che se non viene fatto a livello europeo deve essere fatto a livello nazionale», per «sganciare il prezzo dell'energia elettrica da quello del gas» e la «sospensione temporanea dei certificati Ets (le quote massime di emissione, ndr)». Gli aumenti sono insostenibili anche per Federmoda, che chiede di estendere il credito d'imposta anche alle imprese del dettaglio del comparto: «È urgente - spiega il presidente Giulio Felloni -. Le aziende necessitano di un aiuto immediato per far fronte a costi sempre più importanti e margini sempre più risicati, ai limiti della sopravvivenza». L'Associazione nazionale industriali conserve alimentari vegetali (Anicav) ha scritto al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e al ministro dell'Agricoltura Stefano Patuanelli chiedendo una tutela delle aziende: «Questa situazione - dice il presidente Marco Serafini - rischia di mettere in discussione il prosieguo della campagna di trasformazione con le imprese che, non riuscendo a far fronte ai rincari, saranno costrette a rallentare la produzione o addirittura chiudere gli impianti con ripercussioni importanti sull'occupazione e sul mondo agricolo». La Fim Cisl teme per le ricadute occupazionali nel metalmeccanico: «Alla riapertura delle fabbriche molte ci segnalano non solo costi di produzione ormai insostenibili, ma soprattutto la difficoltà a programmare la produzione nei prossimi mesi. Anche settori quali le macchine utensili, la componentistica automotive, l'elettrodomestico. Un terzo delle imprese va incontro a seri problemi produttivi nel mese di settembre, nonostante portafogli ordini consistenti, che si potrebbero tradurre in conseguenze occupazionali non positive, con rischio di un aumento nell'uso di ammortizzatori».
Non sono bastate, secondo la Cna, le misure già adottate per ridurre l'impatto degli aumenti: «Non sono state sufficienti a compensare bollette che ormai pesano 3-4 volte di più sui costi aziendali. È ormai evidente che vada fissato un tetto al prezzo del gas, una priorità su cui chiediamo dunque l'impegno congiunto di tutte le forze politiche», spiega il presidente Dario Costantini.
Rischia di finire «fuori dal mercato» uno dei settori energivori per eccellenza.
Per Marco Ravasi, presidente di Assovetro, il nonostante gli ordini in crescita, con i costi dell'energia decuplicati in due anni, si rischia concretamente di «perdere competitività internazionale. Il governo deve intervenire con una garanzia statale sui contratti di fornitura del gas».
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