Epidemia colposa, la Procura spinge ma c'è il rischio flop. Le esitazioni di Conte

L’ex premier non firmò il decreto sulla zona rossa ad Alzano e Nembro, Speranza si.

Epidemia colposa, la Procura spinge ma c'è il rischio flop. Le esitazioni di Conte

La chiave dell'inchiesta è il piano pandemico e alcune scelte del Cts, il problema della catena di comando che si ripercuote sulle eventuali zone rosse, le postille alle circolari con la scritta «no tamponi agli asintomatici» che hanno fatto sballare il tracciamento, la scelta della Protezione civile. Tutti «errori marchiani» che andavano sottoposti a un giudice, spiega il procuratore capo Antonio Chiappani pronuncia nelle (ultime?) interviste di ieri. Senza piano si è inseguito il virus anziché precederne le mosse. Questo malgrado già nel 2005 Michael Osterholm, esperto in malattie infettive, scriveva su Foreign Affairs: «Una pandemia è attesa a breve (...) non si possono prevederne gli effetti, ma prepararsi è indispensabile». E noi non lo eravamo.

Sarà compito del Tribunale dei ministri di Brescia decidere se serve un processo. Gli atti relativi alle sole posizioni dell'ex premier Giuseppe Conte e dell'ex ministro della Salute Roberto Speranza, indagati per epidemia colposa per la gestione del Covid in Val Seriana, sono stati trasmessi dalla Procura di Bergamo a quella di Brescia. I pm bresciani hanno tempo 15 giorni per esaminarli, dopo di che li invieranno al Tribunale dei ministri, un collegio di tre giudici bresciani già composto, con eventuali richieste istruttorie. Le due posizioni potrebbero diversificarsi per la circostanza, dimostrata ieri dalla pubblicazione della bozza di un decreto del 4 marzo in cui si inserivano Alzano e Nembro nella zona rossa. Un documento che Speranza aveva firmato e Conte no.

Certo, il reato di epidemia colposa è complesso da configurare, anche nell'ipotesi di una «condotta omissiva» che pure sembrava essere la strada scelta dalla Procura. Sulla genuina interpretazione dell'articolo 438 («Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo») in alcuni processi sulla diffusione del Covid nelle Rsa la Cassazione ha già messo dei paletti. La Procura lo sa ma spera nella mole di documenti prodotta a testimoniare come alcune decisioni avrebbero messo a rischio l'incolumità e la salute pubblica. Ma se ci sarà un proscioglimento, un non luogo a procedere o un'archiviazione per la Procura per Conte e Speranza non sarebbe una sconfitta «ma un contributo alla verità».

Quel che appare certo anche ai pm è che se al governo e al Pirellone ci fosse stata la stessa maggioranza politica, la pasticciata gestione del Covid non sarebbe stata così disastrosa. Diversamente non si spiega perché fino al 2 marzo Conte è pervicacemente convinto che la zona rossa ad Alzano e Nembro non vada fatta. Sappiamo dai verbali del Cts che il 2 marzo fu Conte a dire all'allora coordinatore del Cts Agostino Miozzo: «La zona rossa va usata con massima parsimonia perché ha costo sociale, politico, non solo economico, molto alto. Occorre indicare misure che siano anche sostenibili, fattibili sul piano operativo».

Non sappiamo cosa si sono detti esattamente governo e Regione nelle vorticose riunioni di quei convulsi giorni. Ma certo la «politicizzazione» della gestione della pandemia non aiutava i rapporti tra Palazzo Chigi e Milano.

Se già il 26 febbraio sembravano fuori controllo i dati sui contagi (basati sugli studi di Stefano Merler, matematico della fondazione Bruno Kessler di Trento, membro sia della task force lombarda sia del Comitato tecnico scientifico istituito a Roma), perché non agire? Forse perché in quegli stessi giorni la Lega chiedeva misure più stringenti mentre il Pd e il Corriere della Sera chiedevano di allentare la morsa? E se è vero che la Regione avrebbe potuto chiudere la Bergamasca, perché proprio il 2 marzo una circolare del Viminale firmata da Matteo Piantedosi invita gli enti locali a concordare eventuali zone rosse? «Misure di carattere contingibile e urgente», i cui effetti potrebbero «incidere su diritti costituzionalmente garantiti non devono essere in contrasto con le misure statali in atto».

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