Roma Un balletto di maschere, con nomi diversi ma in fondo sempre uguali, come nella commedia dell'arte. C'è pure questo nell'inchiesta che ha portato ieri all'arresto di Raffaele Marra, il fedelissimo scudiero che Virginia Raggi ha difeso con il suo corpo fino all'estrema ratio, le manette. Con lui è finito in cella anche un costruttore con le mani sui mattoni della Roma che conta, inclusi i palazzi che ospitavano gli uffici dei parlamentari: erano tutti suoi, finché non è scoppiata la polemica per i costi. E nelle carte dell'inchiesta c'è un altro nome che evoca scenari da «romanzo capitale»: quello di Manlio Vitali, detto er Gnappa, noto alle cronache per le scorribande con la più nota consorteria criminale del Tevere e dintorni: la banda della Magliana. Quelli di «pijamose Roma».
A quanto pare se la sono presa e non l'hanno mollata più questa povera città. E nelle loro avventure, che prima o poi finiscono sempre nelle pagine dei giornali o dei libri, c'è in abbinamento un'altra serie di personaggi, tutti simili. Il boss, l'affarista, il burocrate. Vi ricordano qualcosa? Per carità, ci sono mille differenze. I reati contestati sono diversi, le situazioni forse pure. Ma anche nell'inchiesta Mafia capitale, la cui eco non si è ancora spenta in tribunale, c'era un affarista, quel Salvatore Buzzi la cui assidua frequentazione dei palazzi del potere si pesava in appalti. C'era l'uomo di potere, il burocrate non eletto, come Raffaele Marra che «non è un politico» ha sottolineato la stessa Raggi: Luca Odevaine, il tuttofare in grado di pilotare la nave dei politici negli ardui marosi della burocrazia amministrativa. E c'era, c'è sempre, un boss della Magliana. Allora era «er Cecato», Massimo Carminati (il «Nero» nella fiction di Romanzo criminale). Oggi Manlio Vitale, detto «er Gnappa», uno specialista della ricettazione di refurtiva che ha vissuto tutta l'epopea criminale di Roma, dal clan dei Marsigliesi fino alla Banda della Magliana. Un nome che, coincidenza, è di certo ben noto a Massimo Carminati. Per quel che si sa dell'inchiesta al momento il suo ruolo è solo incidentale. È seguendo lui che i carabinieri arrivano a Scarpellini. E anche qui torna un'eco della nascita dell'inchiesta su Mafia capitale.
Alla fine del filo tirato dal boss i carabinieri hanno trovato Scarpellini, uno dei più noti «palazzinari» della capitale. Uno che, quando scoppiò la polemica per i 370 milioni di affitto pagati in tanti danni dalla Camera, ebbe la sfacciataggine di ammettere: «Durante la campagna elettorale vengono qui bianchi, rossi e verdi e noi un contributo lo diamo sempre. A tutti. Gli imprenditori romani fanno così». Ed è a lui che Marra chiedeva aiuto per cercare di fermare la campagna stampa che lo stava demolendo. Marra, ex finanziere con la passione per la politica che, smessa la divisa, trovò subito spazio in quella accogliente greppia che è l'Unire, l'ente per lo sviluppo delle razze equine, allora guidato da un manager vicino a Gianni Alemanno, Franco Panzironi. Un legame mal digerito da alcuni grillini, ma evidentemente non dalla Raggi, che se lo prese come vice capo di gabinetto.
L'uomo che comandava davvero, secondo Carla Raineri, il capo di gabinetto che si è dimessa e ha denunciato il malaffare. In nessun posto come a Roma la politica segue la legge di Lavoisier: qui nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto è eterno. Una maledizione.
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