Erba, inchiesta riaperta: prove da riesaminare Olindo e Rosa sperano

La Cassazione dà l'ok alla difesa: da valutare capello, accendino, chiavi, giacca e telefono

Erba, inchiesta riaperta: prove da riesaminare Olindo e Rosa sperano

Si riapre la vicenda processuale legata alla strage di Erba. La Cassazione ha infatti ordinato alla Corte di Appello di Brescia di riesaminare alcune prove che potrebbero scagionare Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati in via definitiva per la strage dell'11 dicembre 2006 in cui morirono Raffaella Castagna, sua madre Paola Galli, suo figlio Youssef Marzouk e la vicina di casa Valeria Cherubini

Si tratta di un capello castano chiaro di dieci centimetri trovato sulla felpa del piccolo Youssef e mai esaminato, un accendino ritrovato sul pianerottolo dell'appartamento della strage, un mazzo di chiavi, il giubbotto di Valeria Cherubini, l'ultima vittima della mattanza e il telefonino di Raffaella Castagna. «Alcuni reperti non sono mai stati analizzati dieci anni fa o analizzati solo in parte - dice al telefono il legale della coppia Fabio Schembri, che insieme a Luisa Bordeaux e Nico D'Ascola ha ottenuto di riesaminare i reperti con tecniche più moderne di dieci anni fa - chiederemo di riesaminare anche una traccia di sangue, il guanto in lattice con all'esterno il Dna del piccolo trovato dai Ris (di cui per primo parlò il Giornale, ndr) la tenda dell'appartamento dove morì la Cherubini, alcuni margini ungueali e l'impronta digitale parziale che non appartiene né alle vittime, né ai soccorritori, né a Olindo e Rosa». Esulta anche Azouz Marzouk («L'indagine non è stata fatta bene, era comodo indagare solo Rosa e Olindo»), marito della Castagna, che già in primo grado aveva sollevato dubbi parlando con le guardie carcerarie (e la circostanza emerse alla vigilia della sentenza), che si è convinto della totale estraneità dei due, soprattutto dopo la testimonianza che un tunisino mai del tutto identificato fece ai genitori di Azouz («Quelli non c'entrano, è stato un commando») ma mai arrivata in un'aula di giustizia.

Se dagli elementi venissero fuori Dna estranei a Olindo e Rosa la difesa avrebbe buon gioco a chiedere la revisione processuale. Già durante il processo erano emerse diverse incongruenze. Secondo la ricostruzione degli inquirenti avallata dalle sentenze Olindo e Rosa furono gli autori materiali della strage, scattata per liti di vicinato. Per la condanna definitiva furono fondamentali le deposizioni del superteste Mario Frigerio, marito della Cherubini ferito alla gola e salvo per una malformazione alla carotide, che identificò Olindo una ventina di giorni dopo il risveglio, dopo aver indicato però - anche ai familiari - un uomo «con la carnagione olivastra, mai visto prima». Gli altri pilastri sono le confessioni dei due, ritrattate e zeppe di incongruenze rispetto ai rilievi dei Ris (che a processo testimoniarono per la difesa) e una macchia di sangue trovata sul battitacco della Seat Arosa di Olindo di cui non esistono immagini, frutto per i legali di contaminazione involontaria da parte di uno degli agenti che - stando ai verbali - perquisì prima la casa e poi la vettura. Inoltre la Cherubini era stata sentita urlare «aiuto» dai soccorritori ma venne trovata con le corde vocali recise e la gola squarciata, come se gli aggressori fossero ancora nel suo appartamento, mentre secondo le sentenze Olindo e Rosa riuscirono a fuggire dopo essersi spogliati degli abiti senza farsi vedere e senza lasciare tracce a casa loro (sempre secondo i rilievi dei Ris) per dirigersi velocemente a Como a caccia di un alibi.

«Anche se trovano un capello di un estraneo cosa cambia di fronte a tre gradi di giudizio che hanno riconosciuto, senza alcun dubbio, che sono stati loro?», si chiede invece Giuseppe Castagna, figlio e fratello di due delle vittime: «Per noi giustizia è stata fatta». Tra qualche mese sapremo chi ha ragione.

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