Cronache

Ercolano, l'accusa dei pm "I ragazzi scappavano. Contro di loro 11 spari"

La Procura: "Condotta ingiustificabile, Palumbo li ha inseguiti". Il legale: "È addolorato, si scusa"

Ercolano, l'accusa dei pm "I ragazzi scappavano. Contro di loro 11 spari"

Si chiede «scusa» se si urta inavvertitamente una persona. Non si chiede «scusa» se si uccidono due ragazzi innocenti scambiandoli - senza una sola valida ragione - per dei «ladri». La verità è che le «scuse» e il «profondo dolore» di Vincenzo Palumbo non hanno alcun senso, perché insensata è l'intera dinamica della sua azione criminale. Che gli inquirenti, a 24 ore dai fatti, hanno ricostruito con certezza: 11 colpi di pistola sparati mentre i giovani stavano fuggendo terrorizzati; il tutto con una modalità che la Procura di Napoli definisce «intenzionale». Di qui l'arresto del camionista con l'accusa di duplice omicidio volontario.

Ma facciamo un passo indietro. Vincenzo Palumbo è l'autotrasportatore 53enne che tre notti fa ha scaricato la sua Beretta contro un'auto con a bordo Giuseppe Fusella, 26 anni e Tullio Pagliaro, 27 anni, due amici che stavano tornando a casa dopo una partita di calcetto alla periferia di Ercolano (Napoli).

Lungo la strada del rientro a Portici, il paese di entrambi vicino a Ercolano, Giuseppe e Tullio si fermano un attimo davanti alla villetta isolata della famiglia Palumbo. Vincenzo nota la vettura e si convince che sia la macchina di una banda in procinto di entrare in azione. Quelli nella macchina sono invece bravi ragazzi con la fedina penale immacolata: uno è in procinto di laurearsi, l'altro lavora nella ditta del padre. Entrambi stimati e ben voluti da tutti.

Ma Palumbo, purtroppo, questo non lo sa: lui - almeno così ha dichiarato agli inquirenti - è «terrorizzato» da alcuni - presunti - «furti subìti in passato». Sta di fatto che all'una di notte impugna la pistola (in casa ha anche due fucili da caccia) e preme a ripetizione il grilletto. I ragazzi fanno in tempo di vedere l'uomo armato e tentano di fuggire, ma si schiantano dopo pochi metri durante i quali vengono colpiti da almeno cinque proiettili. Palumbo si avvicina, vede due i corpi insanguinati e chiama i carabinieri: «Correte, ho sparato a due rapinatori». Ai militari la scena ricorda apparentemente un'esecuzione mafiosa, ma bastano pochi minuti per capire che le vittime sono persone perbene, che le loro famiglie sono oneste ed estranee a qualsiasi contesto malavitoso. Palumbo viene portato in caserma: «Ho avuto paura». La difesa è debole. E dopo 48 ore di indagini la sua posizione si aggrava: l'accusa è ora di duplice omicidio volontario; sintetizzata da due parole terribili: «Condotta intenzionale». Ciò significa che, secondo la Procura napoletana il camionista voleva sparare per uccidere e che ha continuato a farlo anche quando Tullio e Giuseppe stavano cercando di sottrarsi alla raffica di colpi.

«Dalle immagini dei sistemi di videosorveglianza - sottolineano gli investigatori - risulta che tutti i colpi sono stati esplosi mentre l'auto era in movimento e si allontanava dalla villa di Palumbo».

«Sono stato svegliato dal suono del sistema d'allarme - ha raccontato l'imputato -. Ho preso la pistola e mi sono affacciato al balcone. C'era una persona nella mia proprietà. Ho urlato. Lui si è rifugiato in auto. Ho avuto paura, pensavo di dover fronteggiare altri rapinatori. Ho sparato 4-5 colpi». Diversa la tesi della Procura: «Gli esiti documentati dall'indagine contraddicono allo stato l'ipotesi difensiva. La dinamica dei fatti per numero, sequenze di azioni, e colpi esplosi appare rivelare una condotta intenzionale e senza giustificazione rivolta a cagionare la morte violenta dei giovani».

Spiegarlo ai genitori di Tullio e Giuseppe sarà impossibile.

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