Mentre l'Occidente prova ad allentare le tensioni mediorientali tappa dopo tappa, da oriente fioccano dichiarazioni incendiarie. In Libano si è riunito l'asse del terrore, e lo ha voluto mostrare: quei tre leader che per Israele ostacolano invece le evacuazioni da Gaza usando la popolazione come scudo. E ieri è arrivata pure la presa di posizione pro Hamas del presidente turco Erdogan: «È un gruppo di liberazione che combatte per proteggere i cittadini», ha detto in Parlamento, assolvendo la sigla palestinese per gli orrori commessi il 7 ottobre e cancellando il viaggio nello Stato ebraico.
Standing ovation. Il Sultano turco si è astutamente preoccupato di mettersi al riparo da accuse di antisemitismo. Col consueto equilibrismo, in un discutibile excursus storico, ha ricordato l'impero ottomano parlando di coesistenza tra popoli. Ma poi ha tirato in ballo le vittime civili a Gaza («atrocità e brutalità premeditata»), schierandosi coi terroristi che vogliono cancellare Israele. Hamas? Miliziani liberatori. Le brigate armate? Uomini che lottano per la loro terra. Parole incendiarie, con cui Erdogan fa sapere, tanto all'Ue quanto agli Usa (da cui attende i caccia F-16 dopo il Sì alla Svezia nell'Alleanza atlantica), da che parte sta l'esercito turco membro Nato, che coi leader di Hamas vanta cordialità e comune ispirazione all'islam politico dei Fratelli musulmani. Il mix di propaganda e legittimazione non arriva più soltanto da stati «canaglia», ma da ieri pure da quelli militarmente alleati dell'Occidente come la Turchia, proprio mentre il presidente francese Macron lavora a una coalizione regionale per combattere il terrorismo parificando l'azione di Hamas a quella dell'Isis: «È un pericolo per tutta la regione, anche per i palestinesi, è un gruppo terrorista». Invece? Ecco il Sultano mettere le cose in chiaro. «Patrioti», altro che terroristi. Poco conta se hanno orchestrato e messo a segno una caccia all'ebreo che sta registrando allarmi anche in Europa, anzitutto in Francia.
Altro che fargli la guerra. Erdogan li considera eroi. E non solo lui. Ieri, a stretto giro, pure l'Oman si è schierato attribuendo a Hamas il titolo di «movimento di resistenza», scartando paragoni con Daesh e invitando a una soluzione «politica» a due Stati: per una situazione, chiarisce il ministro degli Esteri al-Busaidi, cominciata 70 anni fa e «non il 7 ottobre». Il ritornello omaggia chi tiene Gaza in ostaggio. E i nuovi proclami fanno il pari col risveglio dell'Iran; finora piuttosto defilato dal conflitto sul campo, avrebbe facilitato, se non patrocinato, la riunione faccia a faccia (con tanto di foto) dei vertici delle frange armate anti-Israele. Per capire «cosa deve fare l'Asse della Resistenza per sconfiggere il comune nemico sionista», martedì si sono visti Hezbollah (col leader storico Nasrallah, che ieri a mezzo stampa ha magnificato i combattenti morti in Israele), Hamas (con il vice capo dell'ufficio politico Saleh Al-Arouri) e la Jihad islamica (con Ziad Nahleh). Alle spalle, i ritratti dei leader iraniani di ieri e oggi: Khamenei e Khomeini. Dalle divisioni al fronte comune, una nuova tenaglia.
Dicono: «Valutare le posizioni assunte a livello internazionale e regionale», mentre in Cisgiordania donne e ragazzini bruciano l'effige di Macron e i ribelli Houthi dallo Yemen puntano i missili verso Israele. Tra proselitismo e guerra apparecchiata, i tre coordinano le azioni con fazioni palestinesi, siriane, irachene.
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