Guerra in Israele

Esplode l'ira nelle piazze islamiche

Proteste dalla Cisgiordania al Libano, dalla Giordania alla Turchia. Ambasciate nel mirino

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Dal Libano alla Libia, dall'Egitto alla Turchia, dal Marocco alla Tunisia all'Irak, la strage all'ospedale di Gaza fa da detonatore e scatena una violenta esplosione di rabbia nel mondo islamico. Rabbia preceduta dalla netta condanna dei leader dei rispettivi Paesi nei confronti di Israele, considerata da subito colpevole dell'attacco, nonostante le ultime evidenze portino alla responsabilità di Hamas e della Jihad islamica.

I primi a scendere in piazza sono stati i palestinesi della Cisgiordania, dove la polizia controllata dall'Autorità Nazionale Palestinese ha dovuto sparare in aria per disperdere le proteste, le più accese a Ramallah. Nel West Bank cresce l'odio contro lo Stato ebraico ma anche il rancore contro il leader dell'Anp, Abu Mazen, considerato da Israele unico interlocutore possibile per i palestinesi ma reputato troppo «morbido» dai suoi, nonostante proprio lui, dopo la strage, sia stato il primo ad annunciare la sua mancata partecipazione al summit a 4 previsto per oggi in Giordania con il presidente americano Biden, l' egiziano Al Sisi e il re di Giordania Abdullah II, vertice alla fine annullato. Mentre il ministro degli Esteri dell'Anp, Riad Malki, accusava Israele di aver bombardato «intenzionalmente» l'ospedale, un manifestante è stato ucciso da un proiettile sparato dalla polizia nel villaggio di Nabi Saleh, vicino a Ramallah, e le piazze della Cisgiordania si sono accese da Jenin a Nablus, da Hebron a Tulkarm.

Ore di duri scontri con le forze dell'ordine anche a Beirut, capitale del Libano, in quel fronte nord che preoccupa sempre più Israele per il continuo lancio di razzi e una situazione sull'orlo dell'esplosione, tanto che ieri anche l'Arabia saudita ha invitato i suoi concittadini a lasciare il Paese. Sobillati dagli integralisti filo-iraniani di Hezbollah, che dicono di avere «decine di migliaia di combattenti pronti alla guerra» e hanno indetto per ieri una «giornata della rabbia», i manifestanti anti-Israele hanno ingaggiato battaglia a colpi di pietre sia fuori dall'ambasciata americana, nei pressi della quale è stato incendiato un edificio, sia davanti all'ambasciata francese, tra manganelli, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua usati dalla polizia per disperdere la folla e i caroselli in scooter con le bandiere di Hezbollah.

A causa delle proteste, il ministero degli Esteri israeliano ha deciso di evacuare il personale delle sue ambasciate sia in Egitto che in Marocco, ulteriore sviluppo dopo l'allerta annunciata in tutte le sedi diplomatiche dello Stato d'Israele nel mondo.

In migliaia sono scesi in piazza a Teheran, in Iran, dove è andato in scena il solito rito dell'odio, le bandiere israeliane in fiamme, mentre il governo prometteva che «l'attacco a Gaza non resterà senza risposta» e accusava gli Stati Uniti «complici dei crimini di Israele».

Manifestazioni violente anche in una dozzina di città in Turchia, dopo che il presidente Erdogan ha definito la strage all'ospedale «una barbarie senza eguali nella storia». Proteste non solo davanti all'ambasciata di Ankara, la capitale, ma anche a Istanbul, dove già nella notte la folla inferocita, armata di bastoni, pietre e petardi, si è radunata davanti al consolato israeliano e ha tentato l'assalto, ma è stata fermata dai cannoni ad acqua. Almeno 63 persone sono finite in ospedale, 43 dei quali poliziotti.

Tensioni anche in Giordania, dopo che il presidente Al Sisi ha proclamato tre giorni di lutto generale per «le vittime innocenti del bombardamento». Inni pro-Hamas e anche qui un tentativo di assalto all'ambasciata israeliana.

Non mancano all'appello della furia anti-Israele la Libia, dove nei mesi scorsi c'è stato un doppio assalto all'ambasciata svedese dopo il Corano dato alle fiamme a Stoccolma, e poi lo Yemen e l'Irak, con i manifestanti armi in aria.

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