Esploratore del cibo fuori dagli schemi, fece conoscere il lato «punk» della cucina

Aveva un passato da tossico ed esibiva le sue cicatrici senza vergognarsene

Esploratore del cibo fuori dagli schemi, fece conoscere il lato «punk» della cucina

di Andrea Cuomo

N on aveva prenotato ma probabilmente il posto per lui lo hanno trovato comunque. Non nel paradiso degli chef, che non gli si addiceva, né nell'inferno, dove si mangia davvero troppo male, ma nel purgatorio. Scommetteremmo una vodka.

Anthony Bourdain ha tolto il disturbo ieri in una stanza di albergo di Strasburgo, dove si trovava per girare una puntata della sua trasmissione tv Parts Unknown (in Italia Cucine Segrete). Lo ha trovato impiccato il collega e amico Éric Ripert. Chissà quale fantasma lo ha convinto ad arrampicarsi fin lassù. La sua vita era sempre stata fuori dalle rotte protette: un passato da tossico che aveva anche raccontato nel suo primo e più famoso libro, Kitchen Confidential, pubblicato nel 2000 quando la bolla dei cuochi artificiali era ancora all'inizio. Lui narrò - limpido e brutale - il dietro le quinte delle grandi cucine in cui aveva lavorato: sesso droga e rock and roll, e solo dopo, ma molto dopo, ricciola e foie gras. Lo stile quasi punk - assomigliava pure un po' a Lou Reed - lo aveva reso popolare presso il pubblico. Aveva scoperto così che più che spignattare accanto ad avanzi di galera - era stato comunque sulla plancia di comando della Brasserie Les Halles nella sua New York - gli veniva bene esplorare la cucina degli altri. Ma non quella dei suoi colleghi con mene da star, ansiosi di ben altri corifei, ma quella degli angiporti del mondo. Viaggiava in luoghi spesso disagevoli, ingurgitava cibi repellenti offertigli da mani pochissimo lavate in luoghi privi di toilette, e questo guardarlo lo chiamavamo avventura e ci faceva sentire invitati alla grande tavola del mondo, noi che già se ci spostiamo di 5 km con l'auto critichiamo il modo differente in cui preparano il ragù rispetto a mammà.

Bourdain era aria pura in un ambiente popolato da chef creati da un generatore automatico di politically correctness, tutti uguali nella loro cucina etica, sempre «tra tradizione e innovazione» (nessuno sfugge a questa koinè). Chef che il mondo lo vogliono salvare ma solo dopo averci fatto pagare 35 euro un antipasto, mentre Bourdain lo voleva abitare e raccontare. Noi guardavamo con eccitazione i suoi reportage - anche quelli in Italia, Paese di cui amava le donne e i rigatoni - che ci risvegliavano dopo il sonno indotto dalla semifinale dell'ennesimo cooking show animato da tanti cloni del botturismo.

Bourdain era un uomo prima di un gastronomo. Aveva tanto sbagliato nella vita ed esibiva le sue cicatrici senza vergognarsene. Aveva rispetto per l'ultimo dei cambusieri di frontiera al quale senza di lui mai sarebbe accaduto di preparare un pasto davanti a una telecamera, e meno per certi colleghi da sala trucco con cui litigava spesso. Certo, aveva qualche amico mainstream, come Gordon Ramsay, e aveva mangiato anche con Barack Obama, ma ad Hanoi, davanti a una ciotola di Bun Cha (una zuppa vietnamita) e con una birra bevuta dal collo. Negli ultimi tempi stava con Asia Argento, che aveva sostenuto nella sua battaglia contro il produttore orco Weinstein e da cui si era fatto dirigere una delle ultime puntate della sua trasmissione.

Teneramente, da quando era diventato papà, aveva rivalutato un'idea di cucina semplice, per renderla più comprensibile anche a una bambina. Sarà difficile, però, far comprendere ad Arianne, orfana a 11 anni, avuta dalla seconda moglie, l'italiana Ottavia Busia, che cosa sia successo a Strasburgo.

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