Quel che resta di Expo

Expo, un esempio per il turismo. E l'Italia si scopre efficiente e tedesca

Quel che resta di Expo

Ex-poi che cosa succederà? È questa la domanda che in perfetto rito ambrosiano già si fanno sotto la Madonnina ancor prima di brindare per festeggiare quei 21 milioni portati lì dove nessuno aveva mai pensato di riuscire a portarli. Forse nemmeno gli organizzatori, che a quel numero avevano fissato l'asticella per decretare il successo dell'edizione made in Italy dell'Expo.

E qui sta il punto, made in Italy o made in Milan ? Perché la questione non è di poco conto e nulla ha a che fare con il gretto campanilismo se solo ora avremo l'ardire di trasformare questo straordinario successo in un modello da replicare. Soprattutto in un Paese che (a maggior ragione adesso) ha il dovere di fare del turismo una ricchezza da sfruttare più del petrolio e i cui proventi potrebbero far vivere anche noi da sceicchi. Se per settimane è arrivata a Milano gente disposta a fare dieci ore di coda per vedere il padiglione del Giappone (sì, proprio dieci ore di coda), sarà poi così difficile convincere le stesse persone ad andare a Pompei? Se milioni si sono precipitati nel non certo ridente hinterland milanese, non sarebbe possibile portarli nella ben più affascinante Valle dei Templi in Sicilia, nella Laguna che abbraccia Venezia, tra i tesori di Paestum o tra Colosseo e Fori Imperiali i cui numeri di turisti non sono certo all'altezza del loro valore? Anche perché chi arriva oggi trova chiuso per uno sciopero improvviso o per orari inconcepibili in qualunque altra parte civile del mondo, mentre Expo è stata aperta tutti i giorni dalla mattina a notte fonda. Festivi e Ferragosto compresi. Immaginate ora una Pompei perfettamente funzionante come l'Expo...

E qui sta il punto. A vincere, più che il sistema Italia tanto lodato dai presidenti di Repubblica e Consiglio Sergio Mattarella e Matteo Renzi alla fine pronti ad appoggiare i cappelli su un successo in cui all'inizio solo Letizia Moratti aveva creduto, è stata una grandissima capacità organizzativa. Una macchina che ha funzionato perfettamente a partire dai complicatissimi anni della sua conquista e preparazione. E non c'è dubbio che l'anima di tutto questo siano state le straordinarie capacità imprenditoriali e manageriali della Moratti e del commissario Giuseppe Sala, ma vien da pensare che anche aver potuto lavorare a Milano abbia avuto la sua enorme importanza. E non solo per la capacità organizzativa che ha consentito, ad esempio, alla linea 1 della metro di trasportare 12 milioni di passeggeri verso e da Expo senza nemmeno un intoppo. La vera sorpresa è che alla fine dei sei mesi di Expo, Milano si ritrova ad essere incoronata capitale morale d'Italia. Un trono riconquistato dopo gli anni terribili di Mani pulite e l'assalto delle toghe che oggi sembrano ben poca cosa di fronte allo sfacelo di Mafia Capitale che sta travolgendo i Palazzi affacciati sul Tevere. Un'investitura per Milano che arriva da un giudice non certo sospettabile di debolezze leghiste, un napoletano doc come il magistrato e oggi presidente dell'Autorità anticorruzione Raffaele Cantone che le ha riconosciuto gli anticorpi che invece Roma capoccia non ha.

Uniti alle abilità manageriali verrebbe da dire teutoniche, se non fosse che proprio mentre noi organizzavamo perfettamente l'Expo, i tedeschi erano travolti dallo scandalo delle auto truccate che li fanno apparire dei bei magliari. E allora sono proprio questi i veri tesori che Milano (e tutta l'Italia) hanno ora il dovere di non disperdere. Un dovere morale, dopo questa Expo.

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