«Il fatto non sussiste». La vicenda giudiziaria che da 16 mesi scava intorno al sindaco di Milano arriva ieri per la prima volta al vaglio di un giudice, e viene bruscamente dimezzata. La nuova accusa che la Procura generale di Milano - pur tra esitazioni e ripensamenti - aveva mosso a Beppe Sala viene liquidata dal giudice preliminare Giovanna Campanile con la più tranchant delle assoluzioni. I due procuratori generali arrivati in aula a chiedere il rinvio a giudizio di Sala se ne vanno con l'aria di chi ha appena incassato un montante al plesso solare. Farete appello? «Vedremo».
Al centro c'era anche stavolta Expo, croce e delizia di Sala, l'esposizione universale del 2015 che da una parte gli ha spalancato le porte della politica ma dall'altro gli sta portando un strascico di guai giudiziari che condiziona inevitabilmente il suo ruolo di primo cittadino. Per un verbale retrodatato di nomina di una commissione, Sala è già a processo per falso in atto pubblico, udienza fissata al prossimo 15 maggio. A quell'accusa la Procura generale, che ha avocato l'inchiesta, togliendola alla Procura della Repubblica e accusandola implicitamente di essere troppo tenera col sindaco, aveva aggiunto quella di turbativa d'asta: il business degli alberi e delle piante per abbellire Expo sarebbe stato assegnato da Sala, violando le procedure, direttamente ad una ditta già impegnata in altri lavori. Strada facendo, la Procura generale si era resa conto che il reato di turbativa non stava in piedi, e lo ha sostituito con un altro, abuso d'ufficio. Ma anche questo si sgretola ieri al termine dell'udienza preliminare. La formula con cui il giudice proscioglie Sala, «il fatto non sussiste», vuol dire che assegnando quei lavori alla Mantovani il futuro sindaco agì nella pienezza dei suoi poteri di amministratore di Expo, senza vantaggi né danni per nessuno. È la linea difensiva che Stefano Nespor e Salvatore Scuto, i legali del sindaco, portano avanti dall'inizio, e che ora il giudice fa sua. «Sono contento, la verità è stata ristabilita», è il commento di Sala.
Di fatto, la sentenza di ieri conferma la spaccatura profonda che attraversa la magistratura milanese nei suoi rapporti con la politica locale, ed in particolare con il sindaco. Sui presunti riguardi che sarebbero stati usati all'epoca di Expo per consentire all'evento di andare in porto senza troppi scossoni si consumò buona parte della faida tra il procuratore di allora, Edmondo Bruti Liberati, e il suo vice Alfredo Robledo. Grossomodo lo stesso schema si ripropone adesso nello scontro tra la Procura, ora guidata da Francesco Greco, e la Procura generale, il cui capo Roberto Alfonso è il vero regista delle imputazioni a carico di Sala. Con qualche buona ragione, in questi mesi, il sindaco ha fatto sapere di sentirsi stritolato in questo scontro di potere tra toghe.
Ora il proscioglimento dall'accusa di abuso rafforza tanto Sala che il fronte «garantista»: tanto più che a Milano i casi di udienze preliminari in cui l'accusa si vede dare torto sono prossimi allo zero per cento, e il rinvio a giudizio scatta praticamente in automatico. Stavolta invece non è accaduto.
Unico dispiacere per la difesa Sala, il rinvio a giudizio di Angelo Paris, ex manager di Expo, per il medesimo falso contestato al sindaco: in questo caso, il giudice ha ritenuto che l'odore del reato ci sia, ed in effetti che il verbale di nomina sia stato retrodatato è difficilmente contestabile. Ma già la Guardia di Finanza lo aveva definito un «falso innocuo» e ieri l'avvocato Scuto ostenta tranquillità: «Aspettiamo fiduciosamente la celebrazione del dibattimento».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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