La famiglia della vittima: "Una farsa ripugnante"

L'ira dei genitori: "Vergogna, siamo distrutti". Procura lumaca nel chiudere le indagini

La famiglia della vittima: "Una farsa ripugnante"

Hanno taciuto per quasi due anni, mentre l'inchiesta languiva, affrontando in silenzio le contromosse dei difensori dei ragazzi che hanno trasformato in inferno la vita della loro figlia. Si sono occupati di lei, si sono dedicati a portarla fuori dal trauma della notte in Costa Smeralda nella villa di Beppe Grillo divenuta un incubo. Ma ieri, di fronte alla invettiva via Internet del comico genovese, i genitori di S.J. hanno deciso che la misura era colma. E hanno affidato alla Adnkronos una dichiarazione di fuoco: «Siamo distrutti. Il tentativo di fare spettacolo sulla pelle altrui è una farsa ripugnante». E ancora: «Cercare di trascinare la vittima sul banco degli imputati, cercare di sminuire e ridicolizzare il suo dolore, la disperazione e l'angoscia della vittima e dei suoi cari sono strategie misere e già viste, che non hanno nemmeno il pregio dell'inedito».

È uno sfogo drammatico, che arriva dopo una indagine in cui per mesi la famiglia della ragazza ha dovuto fare i conti non solo con le manovre delle difese ma anche con le cautele della Procura. Basti pensare che con un quadro di prove praticamente uguale, l'imprenditore milanese Alberto Genovese il 6 novembre scorso venne arrestato immediatamente. Anche lì c'era il racconto della vittima e i filmati di un sesso imbambolato, sotto l'effetto di alcol e paura. Invece Ciro Grillo e i suoi compagni di vacanze sono rimasti a piede libero, e - a quasi due anni dalla denuncia contro di loro - non c'è ancora la richiesta di rinvio a giudizio contro di loro. Una situazione paradossale che rende legittima la domanda-invettiva lanciata ieri da Grillo: «Perché non sono in galera se sono degli stupratori?».

La verità è che il fascicolo scaturito dalla denuncia che S.J., studentessa milanese (e non «modella», come la definì da subito la stampa vicina al comico, come se questo fosse un'attenuante) ha viaggiato con i tempi placidi di una Procura di paese, un capo e quattro sostituti, un territorio affollato un mese all'anno e semideserto d'inverno. Quando la denuncia della ragazza viene trasmessa da Milano a Tempio, viene gestita come un fascicolo ordinario. Il nome di Beppe Grillo, padre di uno degli indagati, proprietario della villa dove lo stupro sarebbe avvenuto, fa il resto per indurre alla cautela.

Per interrogare l'unica testimone possibile, la madre di Ciro Grillo, i pm aspettano tre mesi. Per nominare un tecnico che analizzi i telefoni del quartetto, due mesi. Per la chiusura dell'indagine bisogna aspettare il novembre del 2020. E lì si scopre che comunque un po' di riscontri alle dichiarazioni della vittima sono stati trovati. I pm si sono convinti che quando nei video la vittima appare subire senza ribellarsi gli amplessi a raffica dei quattro fosse perché era stata «afferrata per la testa e costretta a bere mezza bottiglia di vodka». Da quel momento in poi, S.J. non è più in grado di dire né di sì né di no, è un giocattolo in mano a Ciro e agli amici.

«Dei ragazzi in mutande con il pisello di fuori», come li definisce Grillo (che evidentemente ha visto il video dello stupro). Ma la frase cruciale nella difesa d'ufficio degli indagati è quando il padrone di casa dice che la ragazza è inattendibile perché dopo lo stupro «è andata a fare kitesurf».

È la stessa linea difensiva che fin dall'inizio i legali degli indagati hanno offerto alla Procura di Tempio Pausania, depositando video e foto estrapolati dai profili social di S.J. che dimostrerebbero la serenità della ragazza: lei che fa sport, lei che sorride, lei che va in vacanza con i genitori. La stessa linea che Grillo ieri lancia nel web, e scatena la reazione dei genitori di S.J.

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