Tredici febbraio, un anno fa. È il primo giorno di Mario Draghi a Palazzo Chigi e con una manciata di parole segna il senso della sua missione: «Mettere in sicurezza l'Italia e aiutarla a ripartire». Lo hanno chiamato per superare lo smarrimento del Conte due. Arriva come l'uomo della provvidenza, il solo sulla piazza che può scacciare quel senso di paura che si respira ovunque. Draghi ci mette la sua storia, il nome, l'autorevolezza. È la garanzia di fronte all'Europa e ai mercati. È la carta della fiducia e ha funzionato. È il punto fermo di questi dodici mesi. Il resto è ancora da definire. Il lavoro, a dispetto di quanto sosteneva lo stesso premier poco tempo fa, non è finito.
Nessuno ha mai immaginato che sarebbe stato facile. L'avventura si è complicata di fronte a nuove insidie, in qualche modo inattese, come l'inflazione e l'incertezza ai confini dell'Ucraina. Il virus è ancora qui, con le sue maree da decifrare e contenere. Draghi, in tutto questo, appare diverso. È il costo di toccare la politica, da dentro, qualcosa di diverso dal potere di chi sta in Bankitalia o alla Bce. Il punto di svolta è arrivato con la sua candidatura di fatto al Quirinale. È lì che super Mario si è snaturato, cercando un compromesso con i partiti che non gli veniva naturale, per poi rendersi conto di aver fallito l'approccio. Draghi ha guardato in faccia i suoi compagni di viaggio e si è accorto della loro diffidenza. L'uomo della provvidenza non può gettarsi nella mischia, perché a quel punto diventa uno come gli altri e perde fascino, carisma. Da questa storia ne esce con una punta di disincanto, una dose di livore, un malcelato sentimento di disistima e la convinzione di non fare più sconti a nessuno. Draghi da ora in poi cercherà di essere in tutti i modi se stesso, al punto di mostrarsi spietato. Lo si è già visto con i grillini sul superbonus. Lo si vedrà davanti a ogni riforma necessaria per realizzare il piano di ripresa. Il suo obiettivo sarà togliere ai partiti ogni spazio elettorale. Non sarà lui a accompagnarli al voto. Non sarà solo in questo viaggio. C'è un alleato con cui ha stretto un patto di ferro.
È Mattarella ed è lì il succo del discorso faccia a faccia prima della rielezione del presidente. Il dubbio è se la questione Quirinale sia per Draghi tramontata. C'è chi dice che potrebbe riprovarci fra sette anni, o magari prima. Il patto con Mattarella ha un tempo indefinito.
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