Era il Movimento del «Vaffa», è diventato il partito del reddito di cittadinanza. Monocorde, ripetitivo, a tema unico con una strizzatina d'occhio alla violenza verbale. L'ultima puntata della rivoluzione farsesca per la difesa del sussidio è andata in onda venerdì da Napoli, Scampia, patria dei percettori del Rdc. Nella periferia più difficile del Sud Italia, Conte ha evocato «tensioni», «disordini sociali», ma solo perché il M5s intende «canalizzare» la rabbia dei cittadini. Lanciare il sasso, nascondere la mano.
Era andata ancora peggio il 17 settembre, durante un comizio in provincia di Agrigento, in piena campagna elettorale. Ed ecco il coup de theatre, un compendio di incontinenza dialettica, voluta o meno. «Renzi venga senza scorta a parlare con i cittadini, a parlare ed esporre le sue idee», la fiammata di Conte seguita dagli applausi. Il leader di Italia Viva risponde pan per focaccia: «Ti devi vergognare Giuseppe Conte, è incredibile questo modo di fare che inneggia alla violenza, Conte sei un mezzo uomo». L'avvocato, passato dalla pochette al maglione a collo alto, non aveva scherzato nemmeno il giorno dopo le elezioni politiche. «Sul reddito di cittadinanza saremo una barriera insuperabile. Chi pensa di toccarlo dovrà fare i conti con noi», la dichiarazione, dal tono più che vagamente minatorio. Forse qualcuno non lo ricorderà, ma vale la pena sottolineare un altro episodio, datato 7 settembre: «Meloni togliendo il reddito di cittadinanza vuole la guerra civile. Lei guadagna da oltre 20 anni 500 euro al giorno con i soldi dei cittadini e vuole togliere 500 euro al mese alle persone in difficoltà facendo la guerra ai poveri?». Una campagna elettorale di fuoco, un continuo gioco al rialzo che ha propiziato una insperata rimonta dei 5 Stelle alle urne del 25 settembre.
E ancora dopo il voto, complici i sondaggi in ascesa, in un crescendo rossiniano che fa presagire un inverno caldissimo. Andiamo in ordine sparso. 23 novembre: «Il reddito di cittadinanza non si tocca o sarà un massacro sociale». 21 novembre: «È disumano togliere il reddito di cittadinanza anche solo alle persone occupabili, scenderemo in piazza». Lo stesso giorno: «Lo smantellano colpendo i più deboli». E di nuovo indietro, subito dopo il voto delle politiche: «Sul reddito di cittadinanza non faremo sconti». Una frase, quest'ultima, moderata rispetto a tutto il resto. E quelli elencati sono soltanto alcuni degli esempi di una campagna martellante, instancabile e aggressiva da parte di Conte. Che sempre il 23 novembre attacca: «Il governo è vigliacco, mostra i muscoli con i più deboli».
Rievocando una vecchia espressione di Luigi Di Maio, è il M5s che «si muove come una testuggine». Il coro dei neo grillini contiani non ammette stonature. Avanti dunque con Roberto Fico, che il 23 novembre avverte: «Smantellare il reddito di cittadinanza durante una crisi economica come quella in cui ci troviamo è doppiamente grave, è una scelta pericolosa per la tenuta sociale del Paese». Soffiare sul fuoco, ancora. Chiama la piazza anche il vicepresidente del M5s Riccardo Ricciardi, deputato contiano. Ricciardi in un'intervista a Repubblica il 26 ottobre evoca proteste: «Per furore ideologico non si può fare la guerra ai poveri. Sarebbe una sciagura, non solo al Sud ma anche in tante periferie del Nord. Quindi faremo tutto il possibile sia in Parlamento che fuori». Stesso spartito ripetuto ieri in un'intervista a Fanpage dall'altra vice di Conte, l'ex viceministro Alessandra Todde: «Questo governo fa la guerra ai poveri e bisogna dirlo chiaramente. Dopo una campagna elettorale vergognosa, durante la quale è stato detto da Meloni che il reddito è metadone di Stato, si è scoperto governando che i due terzi dei percettori hanno diritto a prenderlo».
Tutti i parlamentari contribuiscono alla lotta.
Dal senatore Ettore Licheri per il quale il governo «è vigliacco», come da intervista al giornale La Notizia del 24 novembre, alla sua collega Alessandra Maiorino che il 21 novembre accusa l'esecutivo di essere «crudele» e «vergognoso». Infine il capogruppo M5s alla Camera Francesco Silvestri, due giorni dopo: «Il governo punisce chi non trova lavoro». E il brutto deve ancora venire.
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