Gli Stati Uniti non sono mai stati così Disuniti come sul coronavirus. I numeri e la paura portano in una direzione, la voglia del presidente Trump di far ripartire l'economia per non arrivare al voto di novembre con lo stigma dell'uomo sotto la cui guida il Paese ha vissuto la peggiore crisi del dopoguerra va in tutt'altra. Soprattutto adesso che l'epidemia ha bussato più volte alla casa Bianca.
Il quadro generale è dettato dai numeri che restano angoscianti: sabato si sono contati ben 25.524 nuovi casi (portando il totale a 1.347.309) e 1.422 nuovi decessi (il totale ha superato quota 80mila). La fine dell'emergenza è ancora lontana. E le preoccupazioni che ormai attanagliano anche Washington non contribuiscono ad alleggerire il clima. Katie Miller, portavoce del vicepresidente Mike Pence, è risultata positiva. E non è il solo caso tra i funzionari che lavorano alla Casa Bianca. Tutti i funzionari sono stati incoraggiati a continuare a recarsi al lavoro, senza quarantena né ricorso allo smart working anche se rispettando le regole sul distanziamento (ma la mascherina non è obbligatoria). Ma fonti citate dal Washington Post riferiscono che c'è un clima di «preoccupazione e nervosismo». Alimentato dal confinamento a cui si è autocostretto il virologo Anthony Fauci, membro della task force sul coronavirus del presidente Trump, dopo aver avuto un contatto «a basso rischio» con un dipendente della Casa Bianca risultato positivo al coronavirus. Una quarantena soft (Fauci lavorerà da casa, sarà sottoposto a tampone ogni giorno e se sarà chiamato a lavorare in sede andrà rispettando tutte le possibili precauzioni), non come quella a cui sono costretti Stephen Hahn, il commissario della Food and drug administration, e Robert Redfield, direttore dei Centers for disease control and prevention (Cdc), entrambi reduci da un contatto diretto con una persona poi risultata positiva. Insomma, i tre massimi esperti scientifici della task force anti-coronavirus sono fuorigioco o quasi, un duro colpo sul piano simbolico.
C'è poi anche un fronte squisitamente politico, che si colloca nella dura dialettica tra Trump e il suo predecessore Barack Obama, che sabato aveva pesantemente criticato la gestione dell'emergenza coronavirus da parte dell'attuale amministrazione. «Un disastro caotico assoluto», le parole usate da Obama nel corso di una telefonata con alcuni suoi vecchi funzionari. Ieri la reazione del «tycoon», naturalmente a mezzo tweet: «Stiamo avendo grandi riconoscimenti per la gestione della pandemia di coronavirus, specialmente per il precoce DIVIETO di ingresso negli Usa dalla Cina, fonte dell'infezione. Confrontate questo con il disastro fatto da Obama e dal sonnolento Joe (Biden, ndr) con l'influenza suina H1N1. Scarso apprezzamento, cattivi sondaggi. Non avevano un'idea!».
Infine l'economia: che rischia
un «danno permanente se non vengono revocate le misure di lockdown negli Stati Uniti». Lo ha detto il segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, in un'intervista a Fox News, auspicando delle riaperture anche se «ponderate».
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