Fauci: "Con la terza dose protetti 44 volte di più". Via libera al vaccino assieme all'anti-infuenzale

Lo studio: gli immunizzati contagiano meno. Iss: ciclo completo copre al 95%

Fauci: "Con la terza dose protetti 44 volte di più". Via libera al vaccino assieme all'anti-infuenzale

La terza dose può portare a un innalzamento della difesa contro il coronavirus fino a 44 volte. É quanto afferma Anthony Fauci, immunologo e consigliere Scientifico della Casa Bianca, intervenuto al Congresso dei medici internisti ospedalieri di Fadoi a Firenze. Per il noto esperto «a 15 giorni dalla somministrazione della terza dose di Moderna rispetto a più varianti possiamo vedere un aumento della protezione di 23 volte» contro «la mutazione D614G, di 32 volte rispetto alla mutazione B.1.351», detta «sudafricana» e «infine di 44 volte rispetto alla mutazione P.1», detta «brasiliana». «Dati simili a quelli rilevati per il booster Pfizer in giovani e anziani, nei quali si sono avuti drastici aumenti dei livelli anticorpali e della protezione relativamente alle forme gravi di malattia e alle infezioni».

Numeri rassicuranti proprio mentre l'Italia inizia con la somministrazione a fasce selezionate della popolazione e arriva l'okay per la somministrazione congiunta con il vaccino antinfluenzale nella medesima seduta. Un virus Delta che ha anche una «carica virale nelle vie aeree superiori delle persone infette fino a mille volte superiore rispetto ad altre varianti come la Alfa. Negli Stati Uniti questo ha comportato un calo di efficacia dei vaccini contro forme gravi di malattia con conseguenti ricoveri, che è dal 91% all'81% per Moderna e dall'85% al 75% per Pfizer».

Quindi di nuovo un appello alla vaccinazione, per chi nutre ancora qualche dubbio: «Le persone sono a volte preoccupate che siano passati solo 11 mesi dal sequenziamento del virus al momento delle prime somministrazioni. La velocità e l'efficienza con la quale sono stati sviluppati questi vaccini - conclude - sono in realtà dovuti a uno straordinario sforzo multidisciplinare, che ha coinvolto la scienza preclinica e clinica di base, fuori dai riflettori per decenni, prima della pandemia».

Un altro dubbio che frena è la possibilità di infezione anche per i vaccinati. Un nuovo studio «peer-review» dell'Università di Oxford sui registri nazionali di quasi 150mila contatti, tracciati da circa 100mila casi iniziali dimostrerebbe che Pfizer e Astrazeneca hanno ridotto la trasmissione del virus, con differenze tra varianti. Con la Delta, un dato contatto aveva il 65% in meno di probabilità di risultare positivo, se la persona da cui si era verificata l'esposizione era stata completamente vaccinata con due dosi del vaccino Pfizer.

Con AstraZeneca aveva il 36% di probabilità in meno di risultare positivo ma con un rischio crescente con una sola dose.

Infine dagli ultimi dati dell'ISS (periodo 13-26 settembre) emerge che il 98,4% dei tamponi sequenziati è positivo alla variante Delta e più del 60% dei casi diagnosticati nella fascia 0-19 anni si è osservata nei soggetti con età inferiore ai 12 anni. Inoltre i casi tra gli operatori sanitari passano dal 2,1% al 2,7%.

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