Giuliano Ferrara da oggi non è più direttore del Foglio, che egli fondò nel 1996 in una stagione in cui la politica era ridotta a cronaca giudiziaria, e chi la praticava di professione o la raccontava - i giornalisti - si dava da fare per contrastare Silvio Berlusconi oppure per appoggiarlo. Si sentiva all'epoca il bisogno di qualcuno impegnato a capire e a spiegare quanto accadeva nel Palazzo e dintorni senza farsi accecare dal tifo.
Non serviva un giornalone supermercato che offrisse ai lettori un notiziario completo: interni, esteri, economia, sport, spettacoli eccetera. Prodotti cartacei di 60/70 pagine erano già numerosi in edicola, dal Corriere della Sera in giù. L'ennesimo doppione sarebbe stato superfluo anche se a firmarlo fosse stata una penna originale come quella di Ferrara.
C'era bisogno di altro: un pensatoio anticonformista, politicamente scorretto (non volgare), capace di soddisfare un pubblico raffinato, esigente, informato e tuttavia ansioso di leggere idee diverse dalla vulgata con le quali confrontare le proprie. E così nacque Il Foglio, che svolse egregiamente questa funzione per molti anni, esattamente lo stesso tempo che impiegò Indro Montanelli, dominus del Giornale, a stancarsi - spinto dai noti eventi - di rimanere seduto sulla poltrona direttoriale.
Ferrara e Montanelli non sono «gemelli», ma la durata della loro permanenza al vertice dei rispettivi quotidiani li accomuna: appunto 19 anni, parecchi, ma non sufficienti a giustificare ritiri inattesi che lasciano l'amaro in bocca all'affezionata clientela. Naturalmente le imprese editoriali sopravvivono anche se orfane di padre; talvolta, addirittura, maturano e si consolidano. Ma possono perdere fascino pur continuando a essere gradite agli acquirenti. Temo che sia il caso del Foglio , che perfino nel formato reca l'impronta assai larga del papà, l'unico ciccione al mondo a essere elegante nel portamento, nel comportamento e nell'aspetto nonché nell'abito.
Non riusciamo a rassegnarci a non vedere più nella gerenza il nome di Ferrara e neppure il suo simbolo, l'elefantino rosso (sostitutivo della firma), in prima e in ultima pagina, dove il direttore collocava i propri articoli. Non sappiamo quali siano le ragioni dell'abbandono: forse la noia, il fastidio di fare sempre le stesse cose in redazione, forse altro, chessò, le grane redazionali, le difficoltà di bilancio, la crisi della carta stampata. Tutta roba che uccide l'entusiasmo di chi lavori in questo tribolato settore.
Sia come sia, a noi dispiace che il deus ex machina del Foglio non sia più Giuliano, un uomo disposto sempre a sorprendere attraverso i propri scritti, le alzate d'ingegno, gli innamoramenti e i disinnamoramenti improvvisi, per non parlare dei malumori che fanno di lui un personaggio imprevedibile, pronto a suggestionare chi lo segue e a deluderlo con sterzate apparentemente inspiegabili.
A volte abbiamo avuto l'errata impressione che Ferrara fosse un pazzo lucido, un soggetto fumantino che passa dall'incazzatura alla tenerezza nel breve volgere di un sospiro, un intellettuale elaboratore di molte opinioni che però non condivide appieno per più di alcuni giorni. Egli probabilmente si distrae spesso assorbito dall'osservazione della realtà che muta, e lui con essa, cosicché abbiamo il sospetto che la sua non sia incoerenza, bensì costante smania di aggiornamento, inclinazione a non farsi superare dai fatti.
Certe personalità sono difficili da comprendere, ma non cessano di essere interessanti, specialmente quando supponi che sbaglino e, invece, poi ti accorgi che sbagliavi tu a giudicare.
Evitiamo con cura di raccontare la vicenda politica, umana e professionale dell'Elefantino per non dare la sensazione di vergare un necrologio, mentre Giuliano - faccia gli scongiuri - non è mai stato bene quanto adesso, essendosi tolto, oltre a qualche dozzina di chili, pure il peso di una direzione giornalistica, faticosa per definizione.Ci accontentiamo di augurargli che il riposo non sia per lui più gravoso del mestiere di direttore. E comunque si consoli: uno come Giuliano non spreca tempo nemmeno se si limita a pensare nel salotto di casa sua.
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