Quel figlio d'arte inflessibile sull'atlantismo e contro il fisco

Quel figlio d'arte inflessibile sull'atlantismo e contro il fisco

L'avvenuta scomparsa di Antonio Martino, avvenuta nella notte tra venerdì e sabato, lascia un profondo vuoto nel mondo della politica e della cultura. Per quanto da tempo si fosse ritirato dall'attività pubblica, era sempre considerato un maestro. È difficile parlarne per chi, come me, lo ha conosciuto e frequentato come l'amico di una vita: collega universitario, interlocutore raffinatissimo, punto di riferimento politico e intellettuale. Estati trascorse insieme all'Elba, pomeriggi domenicali nella sua casa romana discutendo di politica, cultura e liberalismo, impegni pubblici comuni come la celebrazione alla Nato di Manlio Brosio che di quell'organismo era stato segretario generale o come la giornata organizzata alla Camera per ricordare Gaetano Martino, il papà suo ed anche, non dimentichiamolo, di quell'Europa che senza la Conferenza di Messina probabilmente non sarebbe stata più realizzata.

Nato a Messina alla fine del 1942 dove aveva studiato e si era laureato, Martino aveva intrapreso la carriera accademica insegnando in varie università per poi approdare alla Luiss-Guido Carli. Qui insegnò economia politica e le sue lezioni erano seguitissime perché aveva il dono di rendere accessibili, con una battuta o un aneddoto, anche i concetti più difficili. Era un docente così amato che, quando si mise in aspettativa dopo essere stato eletto in Parlamento nelle file di Forza Italia, molti suoi studenti erano commossi, alcuni con le lacrime agli occhi.

Come economista, Martino apparteneva alla cosiddetta scuola «classica», quella che passando per Vilfredo Pareto, Maffeo Pantaleoni e Luigi Einaudi giungeva fino a Sergio Ricossa: una «scuola» liberale e liberista. A questa scuola egli aveva aggiunto il «sale» della sua esperienza americana: a Chicago, aveva potuto studiare, per un biennio, a diretto contatto con due futuri premi Nobel, Milton Friedman e George Stiegler. Il rapporto con Friedman fu strettissimo e i due rimasero legati da una amicizia profonda. Quando fu nominato ministro degli Esteri nel primo governo Berlusconi, il grande economista di Chicago gli mandò un biglietto che cominciava con queste parole: «Caro Antonio, congratulazioni e condoglianze. Congratulazioni per la vittoria e condoglianze per le difficoltà che incontrerete nel realizzare i vostri programmi». ». Poi, poco dopo, aggiunse per telefono una frase che Martino non dimenticò mai: «Caro Antonio, ricordati una cosa: nei dettagli puoi anche scendere a compromessi, sui principi mai».

Per tradizione familiare Martino si era sempre interessato alla politica e aveva militato nelle file del partito liberale. Nel 1986 era stato, insieme a Sergio Ricossa e Gianni Marongiu, fra i promotori della storica marcia contro il fisco. Tuttavia aveva sempre diffidato dei «politici di professione» e decise di impegnarsi attivamente dopo l'incontro con Berlusconi nella convinzione di poter realizzare le sue idee liberali: fu lui, la storica tessera numero 2 di Forza Italia, a scrivere gran parte del programma del nuovo movimento politico, soprattutto nei suoi aspetti economici. La sua idea di fondo era quella di una società liberale nella quale l'ambito dell'azione pubblica fosse delimitato e nella quale venisse garantito il massimo spazio possibile alle iniziative private, individuali, volontarie. Era convinto, insomma, che il liberismo economico fosse premessa ineludibile del liberalismo politico. Non a caso a chi gli chiedeva se si sentisse un liberale europeo o americano, continentale o insulare, progressista o conservatore rispondeva di essere «semplicemente liberale» senza aggettivi perché, aggiungeva, o si è liberali o non lo si è. Precisava: «essere liberale oggi significa saper essere conservatore, quando si tratta di difendere libertà già acquisite, e radicale, quando si tratta di conquistare spazi di libertà ancora negati. Reazionario per recuperare libertà che sono andate smarrite, rivoluzionario quando la conquista della libertà non lascia spazio ad altrettante alternative. E progressista sempre, perché senza libertà non c'è progresso».

L'attività politico-governativa di Antonio Martino si sviluppò soprattutto nei campi della politica internazionale: fu ministro degli Esteri (1994-1995) e ministro della Difesa (2001-2006) in periodi molto delicati, che videro fra l'altro lo scoppio della guerra in Iraq e l'esplosione del terrorismo internazionale. Percepito come garante e portabandiera di un atlantismo inflessibile, Martino fu indicato come possibile Segretario Generale della Nato, ma la sua candidatura venne meno perché egli si dichiarò indisponibile per motivi personali.

Il suo prestigio internazionale, al di là del campo degli studi, è testimoniato dalle manifestazioni di stima e dai rapporti di amicizia con i «grandi della terra», da George Bush a Ronald Reagan fino a Margaret Thatcher, della quale diceva scherzando con una battuta ironica, che sarebbe stata ricordata dalla storia come «statalista moderata». Ci mancherà, Antonio Martino, che per tanti anni fu anche un prestigioso editorialista di Il Giornale, e, soprattutto, mancherà agli amici.

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