«Devastante», «terribile», «straziante». Così il popolo social aveva giudicato «Sulla mia pelle», il film di Alessio Cremonini, che aveva aperto la sezione Orizzonti della 75esima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Il tremendo racconto degli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, interpretato da Alessandro Borghi, aveva commosso, e irritato gli spettatori, che si erano immedesimati nei panni del trentenne romano morto all'ospedale Sandro Pertini di Roma il 22 ottobre 2009, mentre si trovava in custodia cautelare. Nei sette giorni che vanno dall'arresto alla morte, Stefano Cucchi entra in contatto con 140 persone fra carabinieri, giudici, agenti di polizia penitenziaria, medici, infermieri. E dalla pellicola traspare il suo dolore, fisico e mentale, e la durezza di chi si è trovato davanti.
Ma oggi, dopo il racconto fatto da Francesco Tedesco, quel film è nulla in contrario alla crudeltà, con cui il giovane venne trattato.
Dopo la presentazione ufficiale il lungometraggio era finito sul grande schermo, su Netflix e molte proiezioni gratuite vennero fatte in giro per l'Italia. Associazioni, collettivi universitari e spazi autogestiti avevano infatti pensato che i vincoli imposti dal copyright non erano validi quanto la necessità di divulgare e informare il pubblico sulla storia.
E la cosa più sconvolgente e triste è che la storia del geometra, che ha diviso l'Italia tra innocentisti e colpevolisti, tratta la sua fine. Una fine che Cucchi accetta in parte con rassegnazione, sapendo che alzare la voce e raccontare la verità all'interno di istituzioni a volte è pericolosissimo e non serve.
A volte può essere pericoloso e inutile. Ma di certo aveva ragione l'attore, che ha interpretato Cucchi, quando ha detto questa «storia doveva necessariamente essere raccontata». Alla verità, però, si doveva arrivare prima. Prima di ieri. TPa
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