Fini torna, senza tessere di partito

"Non farò politica. Giorgia deve avere pazienza. Berlusconi non è irresponsabile"

Fini torna, senza tessere di partito

E insomma, rieccolo. Io non ho meriti, sembra dire. «Io non sono l'ispiratore. Giorgia è brava di suo e non ha certo bisogno di essere ispirata». Però. «Però possiamo dire che c'è chi ha aperto la strada, poi è toccato ad altri, più giovani, percorrerla». Io adesso non ho ambizioni, giura. «Non ho alcuna intenzione di tornare in politica, di chiedere tessere». Però. «Però si può lavorare anche senza ottenere incarichi». Che cos'è, solo una frase di circostanza? O un cappello buttato sopra?

Che dire? Era disperso, lost in transition, sparito dai radar, annichilito dalle ripetute batoste elettorali. Marginale. Presidente della Camera, ministro degli Esteri, numero due del centrodestra. Poi dopo la girandola di riposizionamenti e il caso Montecarlo era evaporato, Le ultime immagini pubbliche risalgono a difficili comizi in periferia, sotto tendoni dimessi e tante sedie vuote in sala ad ascoltarlo. Invece ora che la Meloni ha conquistato Palazzo Chigi, Gianfranco Fini rispunta dal nulla in tv a Mezz'ora in più e rivendica una sorta di primogenitura. Non sono stato io, fa capire, a sdoganare la destra? Non l'ho forse organizzata io la svolta di Fiuggi? Non ho defascistizzato il Msi? «Anche se all'epoca nessuno mi chiese di rinunciare alla fiamma tricolore». E pazienza se in seguito proprio lui ha cambiato strada, abbandonando il centrodestra per tentare l'avventura con Monti. Ora è tornato e batte cassa. Prima una piccola autocritica. «Avevano ragione Meloni e La Russa e torto io. Il Popolo delle Libertà è stato un errore imperdonabile. Quando nacque FdI io ero scettico. Dicevo, dove vanno questi?». Ad esempio, al governo. L'ex presidente della Camera si dichiara felice, «L'ho votata». Ma poi le spedisce una serie di consigli non richiesti e di messaggi in codice. «È un esecutivo di destra-centro e il fatto che FdI abbia raccolto più voti di quelli messi insieme da Lega e Forza Italia mette in agitazione gli alleati, che hanno il diritto di rimarcare la loro identità». Non sarà una passeggiata per la prima donna premier italiana. Fini il democristiano la vede così. «Dovrà essere paziente e tenere insieme la coalizione, nell'ambito di un programma comune e delle risorse disponibili, agendo sulla base di proposte condivise». Riuscirà a mediare? Chissà «Comunque la Meloni è un tipo determinato ad andare avanti senza compromessi». Durerà? «Il tempo darà la risposta». Meglio non sbilanciarsi.

Qualcosa a suo giudizio la deve cambiare. «Sui diritti civili Palazzo Chigi deve lasciare che se ne occupi il Parlamento. Non conosco bene il ministro Roccella, ma so che promise di promuovere il referendum per abrogare le unioni civili. Attenzione, piano. Si tratta di una materia delicata, si agisce sulla famiglia e sui diritti degli omosessuali. L'atteggiamento delle istituzioni deve essere laico». Pure la sterzata sul Covid non lo persuade. «Le mascherine anti virus rimangano obbligatorie negli ospedali». Quanto al fascismo, Fini ritorna a Fiuggi, quando si mise agli atti «la condanna definitiva» del Ventennio. «Negli anni '90 la vigilanza antifascista era finita. Si parlava di asse Fini-D'Alema. Luciano Violante presidente della Camera voleva fare della Liberazione un momento unitario tra gli applausi di An. Nel 99 Ciampi al Quirinale garantiva tutti». Ora di nuovo polemiche su La Russa e il 25 aprile. «Rischierebbe di trovarsi in piazza con quei giovanotti che lo hanno minacciato di morte. La sinistra non può accendere ogni tanto l'interruttore dell'antifascismo in modo strumentale. Occorre essere chiari. L'antifascismo è un valore condiviso, ma dovrebbe corrispondere un patriottismo condivido. Pure gli antifascisti possono essere antidemocratici». Ma intanto la nave di Giorgia deve temere soprattutto gli scogli interni.

«Il Pd sta ancora elaborando il lutto, forse perché la sconfitta è stata superiore alle aspettative». In conclusione, «hanno sottovalutato l'avversaria, la destra italiana è diversa da quella che viene rappresentata». Quindi occhio a Salvini. «È inquieto».

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