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"Finiremo a parlare così". Cosa ci impone la neolingua dello schwa

Si riaccende il dibattito sull'uso dello schwa: il suo impiego rischia di rendere la nostra lingua un insieme di parole senza capo né coda. Finiremo a parlare come Cattivik

"Finiremo a parlare così". Cosa ci impone la neolingua dello schwa

L'introduzione dello schwa - rappresentato da "ə", che gli attivisti identitari vorrebbero introdurre al posto delle desinenze maschili e femminili per definire le identità "non binarie" - rischia di far diventare la nostra lingua un mucchio di parole senza capo né coda, con effetti devastanti e da non sottovalutare. Lo hanno fatto notare linguisti, intellettuali, filosofi, ma questo non ferma la crociata degli ultra-progressisti woke che vogliono snaturare e modificare la lingua italiana, imponendo alla maggioranza la loro visione minoritaria, ideologica, partigiana. Intervistando la scrittrice russo-americana Masha Gessen, anche Roberto Saviano, sulle colonne del Corriere della Sera, ha voluto introdurre per la prima volta l'uso dello schwa in un suo articolo. "D’ora in poi, nel rispetto della volontà di Masha Gessen di non essere ascritta né al genere femminile, né a quello maschile, per la prima volta in un mio testo, sono felice di utilizzare la vocale schwa, come molto rispettosamente suggerito dalla mia amica e collega scrittrice Michela Murgia" ha scritto l'autore di Gomorra, sposando l'ennesima crociata ideologica della sua carriera. Risultato? Un articolo sostanzialmente illeggibile.

Il monito dei linguisti contro lo schwa

Il tema dell'uso - o abuso - dello schwa, dunque, torna al centro del dibattito politico-culturale italiano. Replicando a un articolo della filosofa Giorgia Serughetti, il linguista Massimo Arcangeli spiega su Domani che non può passare una "pericolosa deriva", spacciata per "anelito d'inclusività", che vorrebbe "riformare la lingua italiana a suon di e rovesciate". Una cosa è chiedere al nostro interlocutore di "venirci in qualche modo incontro", con le forme e le parole più adatte e rispettose possibili, se ci siamo scoperti portatori di un'identità enby, un'altra cosa "è sottomettere le norme linguistiche di un'intera comunità nazionale alla prepotenza di chi è intenzionato a scardinarle con la generalizzazione di inammissibili usi teratologici". Secondso Arcangeli, non si tratta solo di decidere "tra un maschile sovraesteso (autore), un femminile caratterizzante (autrice) o un neutro inclusivo (autor)". Un qualunque nome - in italiano - si porta dietro "accordi e legami intessuti con altre categorie o sottocategorie grammaticali variabili (articoli, preposizioni articolate, pronomi, aggettivi, participi passati)", e gli "effetti di un uso sistematico dello schwa - semplice o lungo - sarebbero devastanti". Fra un po', spiega, a forza di insistere con gli schwa inclusivi in difesa della gender fluidity, "andrà a finire però che parleremo come Cattivik, la fumettistica macchia d'inchiostro ideata nel 1967 da Franco Bonvicini (in arte Bonvi): 'N'n mi disturb' con domand'cretin'". Vale la pena sacrificare la nostra lingua per un vezzo di una minoranza?

Lo schwa incide sulla struttura dell'italiano

Del resto, come aveva spiegato lo stesso Arcangeli in un'intervista rilasciata al Giornale.it, il problema principale dello schwa è che stiamo parlando di simboli che incidono in modo profondo nella struttura morfo-sintattica dell’italiano. Tanto da indurre lo stesso Arcangeli a promuovere una petizione diffusa su Change.org che è stata sottoscritta da fior fiore di intellettuali e filosofi non certo di destra o conservatori come Massimo Cacciari, Alessandro Barbero, e Paolo Flores d'Arcais, da Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca, ma anche da attrici note come Barbara De Rossi e da registe come Cristina Comencini. A pensarci bene, basterebbe un po' di buon senso. Come spiegava il professore, se ci si mettesse attorno a un tavolo e si valutassero gli effetti dell'uso sistematico dello schwa sulla lingua italiana tutti rinoscerebbero immeditamente che è impossibile da applicare. "Questo purtroppo non lo si vuole fare, proprio perché per questa minoranza la questione non è linguista, non è tecnica, ma è per l’appunto ideologica, e questi sono gli effetti" ha spiegato al Giornale.it.

Il parere di Arcangeli non è certo isolato ed è molto diffuso fra i linguisti, come dimostrano i firmatari della petizione contro la e rovesciata. A stroncare l'uso dello schwa è stata, nei mesi scorsi, in un'intervista all'agenzia Dire, anche Cecilia Robustelli, ordinaria di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia e collaboratrice dell’Accademia della Crusca. La ragione della stroncatura dello "schwa" è ancora una volta di natura tecnica: come spiega la nota linguista, infatti, "la funzione primaria del genere grammaticale in un testo è permettere di riconoscere tutto ciò che riferisce al referente", cioè "all’essere cui ci riferiamo, attraverso l’accordo grammaticale". Se si eliminano "le desinenze scompaiono tutti i collegamenti morfologici, e il testo diventa un mucchietto di parole delle quali non si capisce più la relazione".

Ma i fanatici dello schwa sono come i crociati della cancel culture che vogliono cancellare via la storia: e alle osservazioni dei linguisti, replicano alzando le spallucce, dall'alto della loro (presunta) superiorità morale e culturale.

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