
Le bombe, i raid, il timore di escalation. Fino alla svolta della notte scorsa. La guerra tra Iran e Israele è finita. Almeno per ora. Una notte di follia, l'ennesima, in cui l'Iran colpisce le base americane seminando il terrore di un conflitto su larga scala. E invecem, cambia tutto. Trump ringrazia Teheran per aver avvisato prima di colpire in quella che è stata a tutti gli effetti un'azione soltanto dimostrativa senza nessuna conseguenza reale e invoca la pace. Pochi minuti più tardi, annuncia una tregua di 12 ore che in diventa nel giro di breve la fine del conflitto. "Vorrei congratularmi con entrambi i Paesi per porre fine a quella che dovrebbe essere chiamata la Guerra dei 12 giorni", ha detto The Donald. Una tregua fragilissima, che si rinnova e diventa effettiva proprio con l'intervento deciso e diretto di Trump, al suo primo vero e proprio successo internazionale.
Già nei minuti successivi all'annuncio del cessate al fuoco infatti si sono registrati diversi attacchi reciproci. Il più grave, quello iraniano che con un missile balistico ha centrato un palazzo di Beer Sheva provocando la morte di almeno 4 persone con altre 20 che sono rimaste ferite mentre le sirene risuonavano in gran parte del Paese. "Operazioni contro Israele fino all'ultimo minuto", comunica Teheran proprio mentre conduce gli attacchi prima dell'alba. Secondo le prime indagini condotte da Tel Aviv il missile iraniano ha colpito direttamente due stanze di sicurezza, una sorta di bunker creati ai piani alti in grado di resistere a onde d'urto e frammenti di ordigni ma non a un attacco diretto di una testata esplosiva.
Un attacco violento, nonostante le smentite che sono prontamente arrivate dall'Iran, che ha fatto infuriare Trump ma soprattutto Israele. "Ho dato istruzioni di rispondere con forza alla violazione da parte dell'Iran del cessate il fuoco con potenti attacchi contro obiettivi del regime nel cuore di Teheran", minaccia il ministro della Difesa Israel Katz. Una dichiarazione di guerra in piena regola, concretizzata, alla fine, solo su un raid contro alcune postazioni di Teheran. Nello specifico, l'Idf ha confermato di aver colpito un vecchio radar nel Nord della Capitale, null'altro che un attacco simbolico per non lasciare il missile impunito. Ma comunque sufficiente a mandare su tutte le furie il presidente americano e a far vacillare la tregua. Ma solo per poco. Il risultato si concretizza grazie alla furia di Trump su Teheran e Tel Aviv che si convincono a deporre le armi.
Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ieri conferma: la fine "del conflitto di 12 giorni imposto all'Iran". In piazza della Rivoluzione a Teheran si sono radunate centinaia di persone, per rendere omaggio alle forze iraniane ma anche per festeggiare il cessate il fuoco, pur tra messaggi che restano minacciosi come "resisteremo fino alla fine" e "No a una pace imposta, sì a una pace duratura". Che poi è lo stesso concetto, e non è certo un caso, veicolato dal regime. Pezeshkian apre dicendosi "pronto a tornare al dialogo e a difendere i diritti degli iraniani al tavolo negoziale" ma alza anche la voce: "Non consentiremo agli Stati Uniti di imporre con la forza condizioni ingiuste". Ma intanto la fiducia internazionale inizia a palesarsi, come dimostra la riapertura dello spazio aereo iraniano. Nel pomeriggio di ieri, i voli internazionali sono tornati ad atterrare e decollare dall'aeroporto di Teheran senza bisogno di autorizzazioni speciali. Messaggi di distensione, per lo meno parziali, anche da Tel Aviv con il capo di Stato maggiore delle Forze di difesa Eyal Zamir che spiega: "Dobbiamo restare con i piedi per terra. Ci attendono ancora molte sfide. Abbiamo fatto arretrare di anni il progetto nucleare dell'Iran e lo stesso vale per il suo programma missilistico" ma poi aggiunge che "la campagna contro l'Iran non è finita".
Anche se intanto, l'esercito israeliano ha comunicato alla popolazione la fine delle restrizioni a partire da ieri sera, con la fine del coprifuoco e il ritorno alla piena attività. La guerra è finita. Almeno per ora. E non è poco.