La dismissione non c'è stata. Non è un liberi tutti. Il governo, sconquassato dalla corsa al Quirinale, sulle misure anti Covid trova quel minimo di intesa che tiene lontano lo spettro di una vera crisi politica. Non è che gli animi all'interno della maggioranza siano sereni, questa coalizione è il frutto di un'emergenza e i vari partiti in una stagione normale non avrebbero quasi nulla da condividere e le posizioni su virus, green pass e vaccini più o meno obbligatori sono un prisma di colori differenti. Se stanno ancora lì è perché Mario Draghi sceglie un punto e lo fa digerire a tutti, lasciando a questo o a quello il diritto di mugugno. A quanto pare non ha ancora esaurito la sua pazienza, lo farà probabilmente se non va in porto il suo trasloco al Quirinale, oppure questa carta ipotetica serve solo come minaccia tattica. La cronaca dice che per ora Draghi continua a metterci la faccia. È quello che è successo anche ieri.
È un mercoledì pomeriggio di gennaio e Draghi riunisce la cabina di regia. Il clima non è dei migliori. Al vertice ci sono, con il presidente del Consiglio e i suoi tecnici, una decina di persone. Il sottosegretario Garofalo. Il ministro Bianchi per le questioni sulla scuola. Brunetta e Gelmini per Forza Italia e Bonetti per Italia Viva. Garavaglia per la Lega. Franceschini per il Pd e Speranza per quel che resta di Leu. Dadone per i Cinque Stelle. All'inizio dell'incontro le posizioni sono piuttosto divergenti. I grillini sono contrari a qualsiasi obbligo vaccinale. Speranza e Franceschini lo considerano indispensabile, per tutti. Forza Italia e renziani sono per la linea del rigore, senza però farne una bandiera ideologica. È, per inciso, la stessa idea di Draghi. La Lega, dopo aver consultato le Regioni, è per l'obbligo solo sopra i sessant'anni. Quello a cui gli uomini di Salvini tengono seriamente sono i ristori per chi non riesce più a tenere aperti negozi e aziende. È il punto su cui dovranno trovare un'intesa con Palazzo Chigi. La domanda è cosa farà Draghi e dove troverà la mediazione. Linea dura o morbida? Da qui si comprende anche la forza del governo e quanto sia stato distratto, e indebolito, dalle ambizioni quirinalizie.
La risposta di Draghi è un compromesso che guarda alle maniere forti. Tutti gli ultracinquantenni dovranno vaccinarsi. Non è un invito, adesso è legge. Non basta. Il passaporto vaccinale abbraccia gran parte della vita sociale. Il certificato verde serve per tutte le attività private, escluse farmacie e alimentari, e per gli uffici pubblici. È una stretta molto simile a quella austriaca, che di fatto lascia poche possibilità a chi non ha il green pass. È una scelta forte, per qualcuno arrivata in ritardo, per altri il superamento di un confine sui poteri nelle mani dello Stato non giustificabile neppure in una situazione di emergenza. Qui ci si limita a mettere in chiaro il senso politico di questa svolta. Non ha la firma di un partito della maggioranza. Nella sua carta d'identità non c'è scritto Letta o Salvini. È la mano di Draghi.
È così che si arriva al consiglio dei ministri. Qui la partita che si gioca ha limiti molto stretti e lo sanno tutti. A questo punto ognuno si chiede fino a che punto stare con Draghi. Quelli che sono tentati da un «così è troppo» o «così è troppo poco» sanno che qualsiasi correzione sostanziale verrebbe interpretata come una sfiducia di fatto al capo del governo. Draghi è arrivato al vertice con un decreto legge, con qualcosa di scritto, definitivo, che non ha il sapore di una bozza. La sua «mediazione» piomba dall'alto. Mara Carfagna interviene per dire che questa misura rafforzata rispetta la scelta della stragrande maggioranza degli italiani ed è un messagio per la minoranza recalcitrante. Conte fa sapere che si accoda al premier. Il Pd dice 40 e non 50. I ministri della Lega si definiscono «responsabili ma non acquiescenti» e spingono per alzare l'obbligo oltre i sessanta.
Mettono poi sul tavolo una questione che non è secondaria, sollevata anche in pubblico dal microbiologo Andrea Crisanti: non si può imporre il vaccino senza una revisione del consenso informato. Il sì finale arriva quindi a fatica e apre a nuove, instabili, turbolenze.
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