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"La flat tax al 23% è fattibile e desiderabile. Ma occorre sfrondare i trattamenti di favore"

L'economista dell'istituto Bruno Leoni: "Ho delle riserve sull'aliquota al 15%"

"La flat tax al 23% è fattibile e desiderabile. Ma occorre sfrondare i trattamenti di favore"

«La flat tax è fattibile e persino desiderabile». Nicola Rossi, economista dell'Istituto Bruno Leoni, ritiene che una tassa piatta al 23%, come vorrebbe Forza Italia, sia una proposta razionale «a patto che si intervenga in maniera molto decisa a disboscare quella serie di detrazioni, bonus e trattamenti di favore che è proliferata negli ultimi anni».

Eppure il Pd l'ha citata in un post critico nei confronti della flat tax...

«Ho le mie riserve sulla flat tax al 15%, ma se il Pd per combatterla non ha altro strumento se non citare chi, come me, ha proposto una flat tax non sono messi molto bene».

I dem propongono la dote per i 18enni. Lei è favorevole?

«No, credo non sia quella la maniera per aiutare i giovani che, invece, hanno bisogno di opportunità di lavoro e di un sistema educativo adeguato. La dote per i 18enni non risolve questi problemi, è solo una proposta demagogica».

Perché il Pd viene visto come «il partito delle tasse»?

«Perché non ha una cultura liberale e perché la sinistra è convinta che molti problemi si risolvano tassando e spendendo. Credo che l'esperienza italiana degli ultimi decenni dimostri che, così facendo, non si risolve alcun problema di cui l'economia italiana è afflitta».

Lei, quindi, è contrario alla patrimoniale?

«Già oggi abbiamo imposte che colpiscono i redditi che derivano dai patrimoni. Non capisco il motivo per cui è necessario tassare sia il patrimonio sia il frutto del patrimonio stesso. E, infatti, la mia proposta di flat tax prevedeva l'abolizione dell'Imu».

Come giudica il salario minimo?

«Il salario minimo rappresenta inevitabilmente un depotenziamento del contratto collettivo nazionale. Se si accetta questa logica, il salario minimo ha un senso, altrimenti meglio rimanere come siamo attualmente. Considerare il contratto collettivo nazionale come l'indicazione per il salario minimo, come pensa di fare il governo uscente, significa prendere in giro le persone perché quella sarebbe una cosa completamente diversa dal salario minimo».

Cosa pensa della pace fiscale?

«Negli ultimi 15 anni abbiamo vissuto tre crisi - finanziaria e sanitaria - di prima grandezza. Non mi meraviglia che ci siano contribuenti che, al di là della loro volontà, siano in difficoltà con il fisco. Intervenire per consentire loro di uscire dalla situazione in cui si trovano è sensato. Anche in questo caso servono però trasparenza e semplicità. Ci si liberi, quindi, della montagna di crediti fiscali che il fisco non potrà mai esigere e per la parte restante non si intervenga con un provvedimento addizionale rispetto ai precedenti ma riordinando l'intera materia anche per il passato».

E per le imprese cosa propone?

«La strada maestra dovrebbe essere quella della compensazione fra tutti i debiti fiscali (quale che sia l'imposta non pagata) ed i crediti fiscali derivanti dalle perdite registrate nel corso dell'ultimo quindicennio. Questa compensazione è oggi parzialmente possibile solo per l'Ires ma, data la gravità delle crisi, dovrebbe essere estesa come dicevo.

Per questa via non si darebbe luogo ad un condono ma si consentirebbe alle imprese di chiudere i conti con il fisco facendo ricorso a crediti che altrimenti potrebbero per loro essere difficilmente esigibili»».

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