Ecco il solito Iran anti-americano

L'ayatollah Khamenei: "L'accordo non cambierà mai la nostra politica nei confronti dell'arrogante governo Usa"

L'Ayatollah iraniano Ali Khamenei
L'Ayatollah iraniano Ali Khamenei

L'accordo nucleare con le maggiori potenze non cambierà la politica iraniana contro «l'arrogante governo americano» né modificherà la politica della Repubblica islamica «nell'aiuto ai suoi amici» nella regione. L'ha ripetuto ieri il Supremo Leader Ayatollah Ali Khamenei, fra canti di «Morte all'America» e «Morte a Israele» a Teheran per marcare la conclusione di Ramadan. Le reazioni occidentali sono pari allo scacciare una mosca con un gesto della mano: ma via, dicono, l'Iran è un Paese coperto di inutili maldicenze. Si sa, gli iraniani hanno il tic di giurare guerra e distruzione agli Usa e Israele, di promettere di schiacciare gli infedeli, hanno la fissazione che l'islam sciita, preparando l'avvento messianico e apocalittico del Mahdi, faccia del mondo un dominio islamico sconfinato ma la realtà, dicono gli speranzosi, è che si tratta di un artificio retorico fatto per conservare il consenso, per mantenere il punto. Insomma, segnali di fumo mentre quel che conta è l'accordo siglato a Vienna nei giorni scorsi, sono quei 150 miliardi che si preparano a tornare a casa, facendo dell'Iran una nazione fra le nazioni. Peccato che invece le minacce del mondo islamico, storicamente, non si siano mai rivelate peregrine, dai talebani a Bin laden all'Isis: lo dicono, e poi lo fanno.

Khamenei è stato preciso: ha elencato tutti i campi di battaglia della battaglia egemonica iraniana, che, come quella dell'Isis, prima punta al Medio Oriente, e poi passerà al mondo occidentale. Il supremo leader ha detto e ripetuto con un twitter: «Non cesseremo di sostenere le nazioni oppresse in Palestina, Yemen, Siria, Bahrain, Lebanon». Ciò significa: il Libano resterà in mano dei nostri Hezbollah, combatteremo per Bashar Assad, sosteniamo con le armi gli Houti ribelli in Yemen, finanziamo Hamas, usiamo il Bahrain come base di attacco nella Penisola Arabica. Manca l'Irak, dove le forze del generale iraniano Qasem Soleimani controllano ogni movimento strategico. Insomma, col suo approccio Khamenei, che scrive anche «anche dopo l'accordo, le nostre politiche non cambieranno, non abbiamo nessun colloquio con gli Usa su questioni regionali. Abbiamo parlato con loro occasionalmente del nucleare». Insomma, Khamenei non chiacchera, promette: conferma che l'Iran conduce la sua politica internazionale di dominio, che i 150 miliardi andranno in attività belliche che scombineranno del tutto il Medio Oriente, lo renderanno campo di battaglia e probabilmente anche di nuclearizzazione ulteriore. L'ha già ammesso Susan Rice, che ha detto «noi volevamo occuparci solo di nucleare, non del cattivo comportamento e del militare dell'Iran». Solo che l'atteggiamento ringhioso renderà difficile anche sorvegliare l'accordo, dato che le ispezioni in strutture sospette devono essere annunciate 24 giorni prima, devono ricevere l'approvazione di una commissione e dell'Aiea; l'agenzia nucleare internazionale non dovrà avere nessun ispettore americano o di altro stato che non abbia rapporti diplomatici con l'Iran. Figuriamoci. Obama forse ormai si rende conto, di aver fatto un passo troppo lungo e sembra cercare di correre ai ripari, di giustificarsi prima che il Senato, che deve rivedere l'accordo, decida per un eventuale «no». Obama ha già annunciato che opporrebbe il veto allo stop eventuale, ma sarebbe un gesto poco adatto allo splendore dei media. Così ieri ha fatto un discorso tronfio e imbarazzato: «Accolgo ogni approfondimento, non temo nessuna domanda. Come Comandante in Capo non mi scuso di mantenere il Paese in pace e sicurezza. Questo trattato risolve tutti i problemi che l'Iran pone ai suoi vicini e al mondo? No. Fa di più quanto chiunque abbia fatto prima per assicurare che l'Iran non ottenga l'arma nucleare? Si». Ma si sarebbe potuto far di più, per esempio essere più duri sulle sanzioni che contrariamente a quello che ha detto il Presidente ieri, non sarà davvero facile ripristinare in caso di violazioni dell'accordo.

Dati i precedenti storici sotto gli occhi di tutti, le tecniche di nascondimento iraniane possono vincerla di nuovo sul meccanismo di sorveglianza basso, il numero delle centrifughe nelle mani dell'ayatollah alto, le leziosità di Mohammad Javad Zarif quando dice «Siamo stati molto lieti di trattare con l'amministrazione Obama». Certamente: Obama ha una tendenza a scambiare la resa per una vittoria morale. È così che l'Isis prospera anche a casa sua dove l'attacco di Chattanooga mostra l'infiltrazione islamista sunnita in un mondo apparentemente integrato.

L'islamismo impazza a tenaglia, in Siria e in Irak l'uso di gas venefici da parte dell'Isis contro i Curdi attaccano l'unico vero guerriero che l'Isis abbia dovuto fronteggiare fin'ora sul campo di battaglia, l'auto bomba al mercato di Baghdad che ha fatto 100 morti per festeggiare la fine di Ramadan, gli spari contro una nave egiziana...Largo come una nera macchia d'olio l'aggressività islamica si diffonde, e chi la guarda è accusato di islamofobia e di non capire i progressi portati dalla politica obamiana.

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