I video sono impressionanti: gli evasi bloccano un furgone, fanno scendere tutti, scappano con il mezzo appena rapinato. Nel Villaggio degli artigiani, alla periferia di Foggia, è una mattinata di panico. I detenuti sbucano da tutte le parti, rubano le auto, cercano una via di fuga dalla città. È un'evasione senza precedenti quella che si consuma nel carcere del capoluogo pugliese: se ne vanno in cinquanta. E ancora una volta le foto e le immagini documentano l'incredibile evolversi della situazione.
Tutto il sistema carcerario italiano va in corto circuito per la restrizione dei colloqui da coronavirus. Ma quella è solo la scintilla. Dietro c'è anche un movimento di opinione, caldeggiato da ambienti politici vicini ai radicali, che deve aver illuso i galeotti di mezza Italia: si sono convinti che l'indulto fosse dietro l'angolo, ma non era così.
Gridano «liberi-liberi, indulto-indulto» anche i carcerati che si arrampicano sulle cancellate del penitenziario. Fuori i parenti urlano di rientrare nelle celle, ma non vengono ascoltati. Dentro, la sommossa coinvolge almeno duecento detenuti che sfasciano tutto lo sfasciabile: la sala informatica e altri ambienti, mentre all'ingresso del carcere scoppia pure un incendio. La situazione sfugge di mano e in cinquanta si ritrovano in mezzo alla strada. Cinquanta su 680: un numero strabordante per una galera che dovrebbe ospitare 350 persone. Dunque, sovraffollata all'inverosimile. Come tanti altri carceri del Paese.
Non ci sono però in queste celle i boss della Società foggiana, la mafia locale che ha costretto lo Stato a una mobilitazione senza precedenti. I capi sono detenuti altrove, non in Puglia. Qui si trovano delinquenti di basso livello, piccola criminalità surriscaldata ed esasperata da promesse, dicerie e dal tam tam interno.
L'azione ha successo: l'ultima barriera, una cancello più vulnerabile che dà sulla strada, viene raggiunto a colpo sicuro, probabilmente sulla base di qualche dritta, e divelto a forza. Dunque, i rivoltosi sono fuori, liberi, fra le officine del Villaggio degli artigiani, un alveare di piccole imprese a conduzione familiare.
In breve, il quartiere sprofonda nel caos e nel terrore. Gli artigiani si danno a loro volta alla fuga, chiudono le attività, tirano giù le saracinesche. Gli evasi si dividono in gruppetti: alcuni s'intrufolano in un supermercato, altri salgono a bordo di auto portate via ai proprietari e tentano una fuga impossibile.
Non ci sono piani dietro un'evasione plateale e estemporanea, clamorosa ma votata per fortuna al fallimento. Nel giro di qualche ora il grosso viene ripreso: un quartetto viene acciuffato al termine di un inseguimento a Bari, un fuggiasco viene rintracciato a Cerignola, un altro a Ortanova. Qualcuno contatta l'avvocato rendendosi finalmente conto del disastro combinato e media la resa, cercando di limitare i danni.
Dopo lo sbandamento iniziale, il tempo gioca a favore delle forze dell'ordine. Alla fine del pomeriggio il bilancio, ancora provvisorio, è di 42 detenuti ripresi e 7 o 8 ancora latitanti. L'emergenza si sposta a Bari e a Trani, sede di un supercarcere e degli ennesimi fuochi di rivolta. A Foggia una mano importante la danno anche i 91 uomini della task force interforze dirottata in città dopo l'ondata di attentati dei mesi scorsi. Foggia, dopo le polemiche sullo strapotere della mafia locale, è una città blindata o, almeno, più presidiata di prima. E, come se non bastasse, entra in azione pure l'esercito che ha una caserma a due passi dal carcere.
L'allarme rientra, mentre gli ultimi fuggiaschi vengono
braccati. Dentro, intanto, si torna verso la normalità: un coraggioso dirigente della polizia ha convinto molte teste calde a farla finita con quella rivolta. Una follia che deve aver avuto una regia a livello nazionale.
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