«Che la coscienza possa pesare ad ogni giudice corrotto - che nei suoi occhi si riesca a trovare una lacrima per ogni suo torto - che le sue mani possano tremare di fronte ad ogni sua ipocrita idea. - C'è chi ha ucciso sua figlia e adesso piange come un cretino in tv - e c'è che dice la verità e non si pente davanti a un mantello». «Sono Fabrizio e ti scrivo da dentro - di fronte a Dio mi pentirò - ma la giustizia è gettata nel cesso».
Era andata liscia fino a un palmo dalla fine, la prima riapparizione pubblica di Fabrizio Corona dopo l'uscita dal carcere e l'affidamento alla comunità di don Mazzi: nessuna dichiarazione polemica, poche parole alla folla di supporter riuniti in un cinema del centro di Milano per la prima di un documentario sulla sua vita. Tutto secondo lo schema del «nuovo» Corona, rispettoso delle regole e delle istituzioni. Ma poi, a salutare il pubblico, sul grande schermo viene proiettato il video «di un grande amico di Fabrizio», il cantante Niccolò Moriconi, che parla proprio di lui, del re dei paparazzi e del suo incontro con la giustizia. E sono parole di fuoco per il sistema giudiziario che ha processato e condannato Corona.
É lo stesso sistema giudiziario, va detto, che con una misura non scontata ieri ha permesso a Corona questo bagno di folla nel suo mondo di un tempo, come passaggio del suo percorso di «reinserimento sociale», disintossicazione dalla cocaina compresa.
Il film si chiama «Metamorfosi», ed è il racconto non imperdibile degli incontri di Corona con la psicoterapia prima dell'arresto. Il protagonista è arrivato al cinema protetto dai bodyguard, ha abbracciato e baciato amici e amiche di un tempo, ha rifiutato interviste come da ordine del giudice. Poi, il video.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.